Scrivere sull’acqua.
Questo è quello che mi sembra fare nello spazio del computer.
Prima quando avevo la mia macchina da scrivere, quella di mio padre, prima ancora , la lettera 32 azzurra, quello che scrivevo mi pareva certo, inamovibile, reale. Sganciandomi dalle imperfezioni della scrittura era come se fossi giunta alla “ perfezione” del pensiero.
Da quando scrivo nel computer ho perso la fisicità della parola. E’ rimasta indietro, non riesco a trascinarla verso di me dove vivo io. Come è accaduto per esempio negli ultimi venti anni con i quadri. Attraverso quelli, che sono di carta e ossa, consisto. In tutto il resto no. Sono uno scolapasta da cui perdo ogni giorno sostanza presenza verità: realtà. Esisto in forma di byte dentro questo libro dove non leggo ma scrivo, scrivo, scrivo, qualcosa che invece di aiutarmi a ritrovarmi mi aiuta, giorno dopo giorno, a perdermi. Deve essere sbagliato il modo non l’esito. Perché l’esito alla fine sempre mi dà il sollievo di essermi raggiunta. Ma per poi separarmi immediatamente. A che serve se mi vado a trovare per poi abbandonarmi? Abbandono me stessa in un computer. Altro non so fare. Scrivo per i pesci.
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