Se per un mistero a noi ignoto, tutta la sofferenza vissuta potesse nella morte fiorire altrove, in un campo di papaveri, il 28 alle 9.30 sono sbocciati nell'aldilà.
a Pino Ciulli, 26 ottobre 1959 - 28 marzo 2010
martedì 30 marzo 2010
giovedì 18 marzo 2010
la gabbia di chi
c'è un canarino sulla strada che percorriamo, nei giorni di grande bravura, io e Alvaro quando lo accompagno a scuola. Negli altri giorni che già male cominciano, andiamo in macchina. In questi giorni, in questo periodo, lui o lei? Canta sempre. Canta mentre le macchine gli passano veloci di fronte, senza udirlo. Intorno a lui che sta appeso in una gabbietta sul muro esterno di una abitazione al piano stradale, tutto è normalmente brutto. Una normale, brutta, periferia. Di quelle che ci sono a cloni, in valanghe di luoghi. Eppure lui canta. O lei. Perchè. Non può farne a meno. Lui, lei, non canta per essere udito da me, che ci passo solo nei giorni belli, nè dalle macchine che gli passano accanto senza neppure vederlo e per giunta intossicandolo di idrocarburi, canta perchè non ne può fare a meno. In questa necessità io vedo una somiglianza con la mia vita. Dolorosa inaccessibile inesplicabile più di tanto. Perché è il suo canto in gabbia e in quella sua solitudine e con quella periferia brutta intorno a lui che mi consente di “vederlo” . Anche i passeri e le cincie e il pettirosso cantano. Ma chissà perché il loro canto non si apre in me lo stesso varco che quello di quel canarino compie. Come una lama lui mi apre a una verità. C’è qualcosa c’è qualcuno a cui il suo canto, pur in quelle difficili ostili insensate condizioni, risponde. Si leva. E’ in lui o fuori? E’ una domanda inconcludente. C’è qualcosa che lo sopravanza, che lo sorpassa e lo include, a cui risponde. O che invece interroga. O con cui forse semplicemente dialoga. Lui dice Buongiorno, eccomi qui, sono vivo, perché non può farne a meno. Mettendo a disposizione per dirlo l’unico strumento che ha a sua disposizione. L’unico dono. Sembra una fesseria ma prova a rifarlo tu il suo canto, non ci riuscirai mai tale è la sua bravura. Una creatura così piccola, potrebbe starmi nel palmo, con un dono così straordinario. Un dono di cui non si vergogna, che non giudica che non lo mette in conflitto che non censura. Io lo vedo in gabbia, la sua voce è libera.
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mercoledì 17 marzo 2010
Da Catiopoli
eccoti Catia! alla fine mi hai trovata. Alla fine di una lunga mattinata passata a passeggiare costeggiando il mare e fermandosi sotto il primo vero sole ufficiale di una Primavera che qui, solo da due giorni, si avverte con incredulità. Cara Catia noi ci conosciamo da venticinque anni e tu sei per me una doccia, un acquazzone di sentimenti. Agli incontri con te, se anche mi hai mai sfiorato il pensiero di venirmene con l'ombrello, non l'ho mai aperto. E' così bello starsene sotto tutta questa tua nuvola che scroscia: amicizia affetto lacrime pensieri, mentre le scarpe si muovono e con loro la mente. Tu mi hai insegnato un giorno, uno di questi venticinque anni, che ti rispecchi in quel modo di funzionare della mente studiato dal filosofo epistemologo, Karl Popper. Che ci sono persone che pensano meglio se stanno impegnati col loro corpo in un'azione; come camminare. O nuotare, o guardare la chioma dell' albicocco.Ci siamo salutate tre ore fa. Ma chi ti conosce sa che la camminata nei sentimenti, quelli che tu conosci uno per uno e li sai chiamare col loro esatto nome, continua dopo che te ne vai. Sarà per quell'aria di familiarità così grande che si stabilisce con la propria emotività; perchè un dono tu fai a tutti, proprio a tutti. Non giudichi non metti nessuno, forse solo Berlusconi, in una scatoletta che poi lasci chiusa in uno scaffale. Tutti i tuoi cari gli amici i parenti i compagni di avventure politiche come le vecchie amiche di scuola ma anche i tuoi pazienti, tutti vaghiamo liberi nel tuo mondo. E la libertà come tu dicesti al tuo matrimonio, nell'omelia che un prete illuminato a te e a Gustavo lasciò dire, è ciò che riceviamo in cambio, dall'amore.
venerdì 5 marzo 2010
giovedì 4 marzo 2010
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