
Scrivo stamattina su una pagina di word. Non voglio entrare a scrivere direttamente nello spazio del blog. Ho bisogno di un silenzio più forte per far scattare la chiave arrugginita, antica, nella serratura della cassaforte del pensiero. C’è un libro, bellissimo, che ho visto con la coda dell’occhio, subito dopo Natale nella vetrina, in alto a sinistra, ultimo scaffale, di una nota libreria nel centro storico di Lecce. Colsi allora, faceva freddo, eravamo usciti dal cinema, solo il titolo, Herbarium e l’autore, Emily Dickinson. E poi il formato. Uno stupefacente A3 tutto rilegato come se fosse appena uscito dalla legatoria del signor Sardone. Ci ho messo forse due mesi per tornare con calma, prendendomi una mattina, in quella libreria a cercarlo. E’ stata una ossessione. Pensavo a quel libro e alle meraviglie che poteva contenere ma non riuscivo a vincere il pulviscolo delle cose da fare, non si poggiava mai quella polvere. Emily Dickinson è una delle mie amate poetesse. Di lei amo che aveva custodito le sue poesie gelosamente, in una scatola di latta, là alla sua morte hanno trovato i suoi fogli in forma di raccolte cucite a mano da lei stessa. E decine di fogli e lettere di vario formato. In una scatola di latta sotto un letto c’era una galassia intera, la via lattea, che una mano sapiente aveva saputo proteggere e contenere in uno spazio tanto piccolo da sembrare innocuo. Emily attraversa la vita tagliandola da parte a parte ma di quel taglio nemmeno una goccia di sangue si versa, solo stupore e silenzio: a cui le parole delle sue poesie hanno dato la giusta forma. I versi sono pieni di nomi di fiori e di insetti da giardino. E’ un giardino di pensieri che sono proprio certa, è il giardino del Paradiso. Quello stesso che ho trovato dipinto e cucito con fili d’oro nelle stole del 1700 che Padre Giuliano recuperò da un angolo abbandonato del Convento dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita, San Francesco a Lequile. Mi ricordo la meraviglia che ho provato quando lui mi mostrò tutte quelle Pianete, così si chiamano, che aveva recuperato dalla sepoltura in un brutto cellophan che precludeva al loro congedo. Li ha dissepolte e portate in lavanderia e poi le ha appese e catalogate una ad una. Insieme erano e sono, dove sono adesso? un libro di preghiere, un libro di poesie, l’inizio di uno spaesamento ipnotico che porta dritti al cospetto di dio. A lui, a dio io chiederei subito adesso, come sta padre Giuliano? dove sta? Ma so che farei meglio a chiedere a padre Corrado, che è stato suo confratello, di salvare quelle pianete e sistemarle nella Biblioteca Caracciolo nel Convento di Fulgenzio così che tutti e anche io di nuovo, possiamo ammirarne lo splendore. Così come della Dickinson puoi risalire in quell' herbarium al gesto che recise il fiore. E’ il gesto della mano di una donna che ha abitato sulla terra un giardino non terrestre. E’ verde cupo, e pieno di foglie a sbalzi la copertina di quel suo quaderno, la copertina da sola ti ruba il fiato; e quello che si manifesta nelle pagine seguenti certo non contribuisce a restituirtelo. Sei in apnea davanti al suo libro pieno di scissioni di resezioni di nomi appuntati con grafia piccola e ossuta sopra lo stelo disseccato di un ramo uno stelo una escrescenza vegetale. In apnea studiando la puntigliosa ingegneria cartacea che ha portato Emily a tenere i fiori ben fermi sul loro supporto. Numerosi sono infatti i sottilissimi ponti di carta che lei incolla fra un lato e l’altro di quella foglia fiore stelo. Ancoraggi terrestri per una materia soprannaturale come sempre un fiore è. La sostanza di un petalo ha la stessa magia della nuvola di vapore acqueo, del raggio di luce che il sole ci invia come un regalo sempre immeritato al mattino. Queste barche vegetali sono sono giunte a noi da una navigazione durata miliardi di anni nel Cosmo; e questa parola da sola dovrebbe svegliarci al mistero in cui siamo immersi senza rendercene conto. Come i pesci che non sanno di essere tali perché non conoscono il nome del mondo che li contiene. Pensano che tutto finisca lì e invece c’è la terra e le migliaia di specie vegetali e animali e poi oltre la terra il cosmo. Senza nemmeno arrivare a indagare per ognuna di quelle migliaia, i milioni di individui di cui si compone la sua orchestra. E fra quelle specie, quella a cui appartengo. Uomo sapiens. Ma se mi guardo intorno no, non vedo il sapiens. Sapere sapore come scriveva Roland Barthes. Di quel sapere sapore pochi ho conosciuto che lo hanno incarnato rappresentato descritto, liberato. Di quel sapere sapore ho visto le pianete salvate da padre Giuliano, ma sono ancora in salvo? a me la responsabilità stamattina di rispondere a quella domanda e tentare la loro resurrezione. In modo che il gesto di quell’uomo non sia stato inutile. E gli anni di donne e di storie e di vicende legate alla produzione di quei fili meravigliosi: tre secoli almeno. Un’opera di protezione di cura di rispetto di amore, la stessa di quella intrapresa da una piccola casa editrice di Roma che ha editato, in una edizione pregiata come è giusto che sia, un’opera piena di mistero di giornate di mattine di passeggiate e di libri, quelli in cui Emily metteva a seccare i suoi fiori prima di conservarli in quell’archivio dalla copertina verde scuro. Un archivio di conoscenze e di dio. Di attimi. Sfoglio l’erbario di Emily e sono presa da sentimenti fortissimi. Quella è anche una tomba. Un cimitero di fiori di gesti di vita passati per sempre. Per sempre? Il libro, il tuo Emily, è l’orlo della vita visibile quella che fu a te visibile dal 1830 al 1886. A quell’orlo mi attacco come se fosse l’ultimo lembo rimasto della realtà. Oltre quelle foglie secche quei petali senza più colore che trattengono, in un incantesimo degno della Bella Addormentata nel Bosco il gesto della mano della poetessa, che poggia sul foglio e incolla e scrive i nomi. Quel libro quell’orlo è allora il luogo segreto dove sta chiusa la formula magica che addormenta il tempo. E’ un sonno reale, i fiori russano appena e tu fai piano piano piano, per non svegliarli, per non sovvertire l’ordine imperioso, d’acciaio, che consegnò quei fiori al loro sonno. Sono adesso come una barriera, un terrapieno, una diga, che contiene la sapienza contro l’insipienza e il nulla, e il chiasso che avanza facendo più baccano di altre qualità che pure avanzano, ma in silenzio, per farsi intendere. Allora nell’erbario c’è custodita, in una elegante edizione rilegata, la mano di Emily. E’ come trovare l’impronta dell’astronauta sul suolo lunare. Nell’erbario troviamo l’impronta delle sue mani. Quel libro è la luna. Un silenzio perfetto e nemmeno un filo di vento turbano una quiete che non viene dalla morte ma da un destino umano vissuto pienamente e fino in fondo; con un’intensità infantile e la lucidità di un monaco stilita. Se sei pronto a tremare vai in libreria e chiedi pure del libro. Anche il costo ammutolisce ma è senz’altro il costo minore fra quelli che ti aspettano. Emily ti verrà addosso a bomba “con due emerocallidi in mano vestita di picchè bianco, assolutamente lindo, e sopra uno scialle blu di lana pettinata” . E’ agosto del 1870 è aprile del 2009. Di qua c’è Thomas Wentworth Higginson che sarà poi il curatore insieme a Mabel Loomis Tood, della prima pubblicazione nel 1890; e di qua, ancora più in qua, c’è un libro che costa 120 euro la cui copertina dentro si è già un po’ incrinata ma è come aprire l’armadio dei suoi vestiti dopo centoventitre anni. E toccare con la mano, la tua, la sua stoffa.
Sempre la meraviglia il tuo tessere la scrittura!
RispondiEliminaMauro