Qualche giorno fa mia sorella cercando nella sua libreria che straripa di libri carte dischi ha trovato un foglio A4. E' la fotocopia di una lettera scritta nell'estate del 2012 da Franco Maiorano. Il nostro amico sacerdote; il mio padre spirituale. Leggendola mi sono accorta che riassume benissimo i contenuti della sua vita. Continuo a credere che ho avuto la fortuna di incontrare la Chiesa come sarà tra cento anni; se essa, e cioè anche noi, saprà e sapremo affrontare i cambiamenti che questo tempo storico ci chiede di agire.
Se ricordo bene la spedì a Rocca, la rivista che viene pubblicata presso il centro di spiritualità della Cittadella, ad Assisi. Non so però se fu mai pubblicata. Lui per anni ha preso la parola pubblicamente e so che ha scritto almeno a due papi per chiedere di considerare con più coraggio le deformazioni comportamentali e soprattutto teologiche, nella sostanza della fede insomma, prodotte da una forte e burocratizzata gerarchia che Franco identificava con il Potere più che con la Tradizione, perché in fondo stiamo parlando della stessa cosa percorsa battendo due strade differenti -e chissà quante altre strade possiamo usare per percorrere questo territorio di venti secoli di Rivelazione. So, conoscendo Franco e avendolo seguito fino alla fine, che è morto conservando lo stesso spirito che la lettera conserva. Presumo che si era ulteriormente essenzializzato. Fra il primo e il secondo ictus che poi lo ha definitivamente immobilizzato, mi riferisco a un intervallo di dieci giorni, a fine marzo di quest'anno, era andato a Roma, lui un giovanotto di 87 anni con la faccia tumefatta a causa della prima caduta che aveva subito e a cui non aveva voluto dare nessuna importanza, a trovare un suo amico che era diventato amica. Un transessuale insomma. Per lui la coerenza era il valore su cui si misura la persona umana. Essa sta oltre il sesso; sta in quella qualità che appartiene all'anima; all'essenza spirituale. Nella coerenza fra pensieri e azioni. Fra mondo interno e agire esterno. Una coerenza che ha come obiettivo la giustizia. Ovvero il bene. La gratitudine e il rispetto per la vita. La propria prima di ogni altra. Ciao Franco. Ti lascio parlare adesso.
Egr. Direttore,
la prego di collocare in codesta eccellente rivista il presente modesto elaborato.
Grazie e cordiali saluti.
Son prete da più di cinquantanni e piuttosto lucido mentalmente. Non so spiegarmi perché conservo ancora una discreta serenità, continuo a invocare lo Spirito di Dio che mi illumini e l'angelo custode che mi guidi.
La motivazione della premessa e del seguito di questo elaborato: negli anni in cui si celebrò la massima assise cristiana, il Concilio Vaticano II, esultai e cominciai a sperare nella traduzione in pratica delle sagge ed evangeliche proposte scaturite dalla provvidenziale riunione dei legittimi pastori voluti dal Cristo.
Auspicai anche, ed auspico, una conversione del massimo pastore attuale (e per anni autorevole funzionario del dicastero difensore della fede).
Tutto invano.
Pronunciamenti solenni, parole evasive con la presunzione di conservazione e continuità, convegni e sinodi tendenti soltanto ad ammutolire le rivendicazioni di quanti invocano coerenza.
Mi costa molto alimentare la speranza, anche se convivo in ambiente di esemplari testimoni della Parola di Dio, ma in territorio, diocesano e nazionale, con confratelli quasi rassegnati, desiderosi di miglioramenti ma privi di elasticità rinnovativa.
I fedeli, sempre più numerosi, abbandonano la pratica della religione perché non riescono a dare credibilità ai componenti dell'istituzione ecclesiastica, preti e vescovi; e i fedeli più introdotti frequentano aggrappandosi solo al Celebrante eterno che ci ama.
Sento, ormai, il bisogno di "gridare" contro le omissioni.
L'antidoto all'abbandono e all'indifferenza dei credenti è nelle proposte purificatrici dei difetti dell'istituzione e rinnovatrici dei comportamenti secondo "i segni dei tempi".
I preti, ad esempio, debbono risultare liberi di scegliere il celibato (per convinzione e non per obbligo) o il matrimonio (interessante l'invito di San Paolo a Tito e quindi ai vescovi di sposarsi una sola volta e dimostrare di saper gestire la famiglia per risultare credibili nelle esortazioni); gli sposati, probi viri, debbono poter diventare sacerdoti; i risposati debbono poter rientrare a pieno titolo in comunità; le donne debbono esser pari agli uomini anche in simili scelte; i fedeli debbono poter collaborare con maggiore responsabilità; il contatto con le altre chiese cristiane deve diventare fraterno, con le altre religioni deve risultare confronto rispettoso; con i non cristiani, con i non credenti il dialogo deve diventare possibile e necessario.
In sintesi, il Concilio ci porta a renderci autentici seguaci del "sì, sì, no, no" evangelico e smettere di far leva sulla prudenza, sulla diplomazia, sugli atteggiamenti che rischiano di diventare infingardi da parte dei responsabili di livelli altissimi.
Il Cristo che ha dato la vita per liberarci dal male non può tollerare che ci comportiamo da vanificatori di tanto dono e fautori di ritorno nell'abisso della menzogna.
Francesco Maiorano
3392747429- Bari
Franco non risponde più a questo numero. Lo si può incontrare personalmente nel Mondo che Verrà (io lo credo); ha vissuto con grande coerenza e limpidezza, massima frontalità. Non era perfetto e questo gli ha consentito forse quella apertura all'amore per il prossimo che precede le sue coraggiose e sempre pubbliche prese di posizione. Come l'hanno tollerato nella istituzione ecclesiastica io non lo so. Bisognerebbe chiedere al suo vescovo, Mons. Francesco Cacucci. Forse perchè la Chiesa oltre a essere peggio di quanto si rappresenta è, per alcune esperienze e in alcune comunità, anche meglio di quello che crede di essere....Certo ne ha subite di umiliazioni, allontanamenti, ma la sua vita irreprensibile e l'adesione incondizionata alla sua scelta: essere sacerdote, lo hanno protetto. Fino alla fine, che per chi crede: è l'inizio.
sabato 17 ottobre 2015
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