Di me è rimasta una scarpetta
tutto il resto si è dileguato nel temperamatite
nel corso di molti anni.
Non sapevo, allora,
di stare temperando me stessa,
consumandomi.
Se l’avessi saputo, se qualcuno me l’avesse detto
avrei scagliato quella matita fuori dalla finestra
magari colpendo un passante.
Un passante ho colpito veramente,
più d’uno credo temperando,
e me stessa, certamente.
Me stessa più di chiunque altro.
Che di me oggi, una scarpetta è rimasta.
E decine e decine di quadri che sono giunti
con un’astronave da una terra senza abitanti.
Le mie immagini a quella terra sono servite
per popolarsi di storie
di delicate figure di donne con le scarpe dal piccolo tacco.
Esse hanno raccontato moltissime cose
di sé
nella forma indiretta e ricca di porte, dell’arte.
Da quelle donne, altre si sono affacciate
da quelle figure, parole sono fiorite:
esse sono diventate campo
giardino, luogo vivente.
per chi le ha incontrate e amate.
Territorio di stupore
dove stare a guardare qualcosa che
non sta fermo come sembra ma, si muove.
Ogni giorno, con te.
Verso il nulla dove siamo diretti
o verso l’astronave da cui quelle immagini sono scese
per essere fatte
e imbarcate di nuovo
nelle case della gente.
Perché, quelle case, sono la nostra vera astronave.
Il sistema solare da cui per millenni ci siamo formati
in grembo alle stelle
per poi arrivare qui,
sulla Terra.
Per incontrare chi?
Noi stessi su un foglio di carta.
Noi stessi nel bacio tanto desiderato.
Noi stessi nella piccola mano di un bambino che ha paura di tutto.
Noi stessi nel pianto inconsolabile di una sorella tradita dalla sua bontà.
Noi stessi nelle storie crudeli di inverosimile e vertiginosa sofferenza
che sembrano colpire solo gli altri.
Noi stessi nel canto lontano di un uccello di cui non conosciamo il nome.
Noi stessi nella prova più difficile, essere soli:
trovarsi di tutto questo, solo una scarpetta in mano.
E, da quella, disegnare il resto.
Tutto, pure l’astronave.
no! ecco l'altra
57 x 76
2012
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