Lo strappo
Caro Tolstoj,
dimmi, che ne stai facendo di Natasha, che ne stai facendo del principe Andrej? Ieri notte, era circa mezzanotte, si sono salutati; lui partiva perché costretto da sua padre a verificare il suo sentimento, e quello di lei, di lei, una ragazzina di 16 anni. Nelle parole tue Tolstoj so che qualcosa di grave di drammatico si prepara. E la pena mi mozza il fiato. A questo punto del romanzo, dopo aver seguito nella vita i personaggi principali fra cui Andrej certo, a questo punto del romanzo dopo averti seguito brava, docile, nei tuoi ragionamenti che sono di una crudeltà e di una violenza unica tanto riesci a mettere a nudo i pensieri, e solo tu in quel modo senza appello, senza se senza ma, io ho avuto ieri sera a mezzanotte una angoscia che non riusciva a stare ferma. La vedevo dilatarsi e io impotente a guardarla. Che farà di te Natasha? Della tua allegria nata da una condizione di vita favorevole, favorevole anche la tua bellezza la tua grazia la tua innata sensibilità; e di te Andrej che ne farà? Ti costringerà a espiare per sempre quella tua subalternità a tuo padre a pagarla millimetro per millimetro. Natasha, ti farà morire di crepacuore; ti farà morire in un matrimonio che solo apparentemente ti risarcirà di un dolore insensato. E che potrà fare Pierre per contrastare tutto questo; chiuso nel suo castello di dovrei e non riesco, una peggiore prigione, te lo dico io che lo so, non c’è. Perché uno che non ha nessuno che lo perseguita alla fine ha se stesso. Contemplo quella pagina dove ho chiuso il libro ieri sera a mezzanotte. La contemplo nella mia testa e so che non ho scampo. Come altre volte mi è accaduto nel libro che è la vita. E quando non ho scampo so che mi trovo davanti a una grande romanzo a una grandissima storia a una voce di narratore che non ha confronti. In quale buco nero mi sono cacciata, in quale dolore. Perché tu soffri, Tolstoj, e ci costringi a soffrire. Sei dentro la vita come un albero che ha radici immense. Nessuno ti può sradicare nemmeno i due secoli di storia che hanno decretato la tua morte. Ma quale morte, il tuo albero fatto di migliaia di pagine è lì altissimo una cupola di rami che copre interamente il cielo su cui salire come scoiattoli a cercare una tana. Come salire come formiche in cerca di una pista dolce. Come salire come bambini inconsapevoli della grandezza di quell’albero. Meglio sarebbe farsi uccelli e atterrare su di te dall’alto per poi perdersi in quella palestra vegetale di rami . Sono ferma sull’orlo di una pagina come il tuffatore sta fermo sull’orlo del trampolino. Prima di prendere la concentrazione necessaria la determinazione il coraggio la bravura pure per affrontare il tuffo pieno di figure che ne seguirà. So di stare lì ma questa volta rispetto alle poche altre in cui è accaduto, l’ultima volta è stato con Qualcuno con cui correre di David Grossman, lo scrivo lo dico lo comunico. Da questo libro non si esce uguali a come si è entrati. Può accadere pure di non uscirne affatto. Io una voce così non l’ho letta mai. Mi rimbomba forte dentro come se lui avesse la voce di un tamburo, i suoi pensieri non smettono di pulsarti dentro e si calmano solo dopo che toccano terra, ma prima devono averti attraversato per intero. Così amici, sappiate se non mi sentite più, che l’ultima traccia risale a pagina …..di Guerra e Pace dell’edizione Mondadori quella con la copertina rigida riservata ai grandi classici della letteratura. Prima del mio tuffo che compirò stasera, voglio ringraziare Agata la mia amica Agata che mi ha stimolato con un gioco bello, ha fatto partire una lettura collettiva di Guerra e Pace questa estate, lo start c’è stato all’inizio di luglio. Io ad Agata voglio bene e ancora di più adesso visto che lei è il tramite di questa irripetibile esperienza di lettura. Ieri notte pensavo al titolo, guerra e pace; siamo nel 1809, io sono nel 1809 a Pietroburgo, la battaglia di Austerliz è alle spalle e io pure ci sono stata con Andrej con Boris con Nikolaj, ma a me sembra che guerra con sia proprio o soltanto la guerra delle armi delle decine di cadaveri per terra morti per un ideale che il giorno dopo non esiste già più, a me sembra che la guerra sia la guerra che tu Tolsoj descrivi in ognuna di queste migliaia di pagine: quella di essere gettati qui dentro: in una storia in una famiglia in una struttura sociale grottesca ridicola vana vanesia, del tutto superflua e su questo superfluo noi costruiamo la nostra vita. Questa tenera formidabile gemma che buca la corteccia dell’oscurità, e il suo vuoto durissimo, più dell’acciaio; questa potenza, questo seme che protegge il mistero più grande come diresti tu, quello della nascita, lo utilizziamo per capire per giocare per allinearci, prima, con questa guerra che è l’istituzione sociale, e poi, la utilizziamo, questa potenza, per difendercene proteggerci eluderla. In entrambi i casi, un mistero sprecato. Tu ci lasci nudi sappilo. Io strappo una pagina dal tuo libro e mi copro. E nel frattempo la leggo. E’ pagina 751.
venerdì 23 novembre 2007
lunedì 16 agosto 2010
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