
venerdì 27 novembre 2009
martedì 24 novembre 2009
Lista di pensieri per Giancarlo Siani
Sei nato un anno prima di me.
Non hai visto la caduta del muro di Berlino.
Un attore, Libero De Rienzo, ha guidato la tua macchina, ventitre anni dopo la tua morte.
Perché c’è qualcuno che guarda gli eroi?
Ma poi tu non eri un eroe: solo un giornalista-giornalista.
Nel film parli come se fossi un poco buffo, un poco cartone animato: hai una voce strana; chissà come era la tua voce; magari ci sta una registrazione sul sito che i tuoi familiari ti hanno dedicato.
Nella foto finale, quella che chiude il film, una tua immagine: la mano destra copre parte del viso, la guancia è coperta da una crema bianca su cui sta disegnato il simbolo della pace: non lo vedevo dall’anno scorso; da quando vidi il film che ti ha dedicato Marco Risi da Sergio. Un film che abbiamo visto perché per caso intercettammo una intervista che Serena Dandini fece a Risi sul suo divano rosso, un fiammifero di pensieri che si accende di notte. E Risi fu così intimo partecipe colto, con una timidezza piena di pudore nonostante il mezzo che ha veicolato le sue parole, la tivù.
Ieri invece, per il cineforum organizzato da Libera, ci ho portato Amalia, mia figlia, quattordici anni, prima liceo, con la speranza che possa imparare. Imparare? Che sciocchezza. Quello per lei è stato un film, come ne ha visti tanti, uno spettacolo. E’ entrata con i Ritz e con la Coca Cola e io mi vergognavo.
Scusami Giancarlo, non avrei dovuto portarla senza prima averla fatta cenare. Ma noi vogliamo ottimizzare tutto, fare tutto. Come se dalla quantità nascesse la qualità e qui, qui, ci sbagliamo.
E poi, e poi, non da te, che sei stato diciamolo pure usato da quelli che il loro lavoro non lo hanno saputo e voluto fare: lo Stato, i magistrati, i poliziotti, i giornalisti impiegati e le persone perbene di Torre Annunziata, quelle dieci o cento, non da te capro espiatorio insieme ad altre centinaia di persone che mia figlia deve imparare la legalità, o meglio, lo stare al mondo praticando la passione la cura la giustizia per e nel proprio lavoro, ma da me, da suo padre; e poi in una scala più piccola ma ugualmente importante, dagli adulti, tutti, che la circondano, pure da te che leggi questa lista; noi adulti che ogni giorno nel pulviscolo di pratiche e di scelte quotidiane, decine, una tessitura minuta di comportamenti, costruiamo siamo edifichiamo la Società e soprattutto lo Stato. Che quello è come la tela di Penelope. Ognuno ne è responsabile e ognuno lo tesse, e rattoppa, ogni giorno. E se c’è qualcuno come Giancarlo morto a 26 anni perché ucciso dalla mafia vuol dire che tutti gli altri intorno a lui non si aspettano niente, desiderano niente, cercano niente. Io avevo 24 anni quando nel 1985 Giancarlo Siani fu ucciso a Napoli sotto casa sua, prima della doccia e della pizza, per gli articoli che aveva scritto da giornalista abusivo, senza contratto, da quella stanza di Torre Annunziata che la sua sola presenza trasformò in Redazione. Avevo 24 anni e non ne seppi niente allora, studiavo ma non leggevo i giornali: una vecchia, terribile malattia di cui ancora soffro. Uno di quei non gesti quotidiani che fanno la differenza che rappresentano o meno per Amalia un modello possibile di cittadinanza, di appartenenza al mondo.
Penelope aspetta Ulisse e io chi aspetto; anzi: che aspetto ancora per mettermi al telaio?
Teresa Ciulli
p.s. ricordati di regalare ad Amalia a Natale il disco di Vasco Rossi. C’è una canzone: l’ultima sentita da Giancarlo.
Non hai visto la caduta del muro di Berlino.
Un attore, Libero De Rienzo, ha guidato la tua macchina, ventitre anni dopo la tua morte.
Perché c’è qualcuno che guarda gli eroi?
Ma poi tu non eri un eroe: solo un giornalista-giornalista.
Nel film parli come se fossi un poco buffo, un poco cartone animato: hai una voce strana; chissà come era la tua voce; magari ci sta una registrazione sul sito che i tuoi familiari ti hanno dedicato.
Nella foto finale, quella che chiude il film, una tua immagine: la mano destra copre parte del viso, la guancia è coperta da una crema bianca su cui sta disegnato il simbolo della pace: non lo vedevo dall’anno scorso; da quando vidi il film che ti ha dedicato Marco Risi da Sergio. Un film che abbiamo visto perché per caso intercettammo una intervista che Serena Dandini fece a Risi sul suo divano rosso, un fiammifero di pensieri che si accende di notte. E Risi fu così intimo partecipe colto, con una timidezza piena di pudore nonostante il mezzo che ha veicolato le sue parole, la tivù.
Ieri invece, per il cineforum organizzato da Libera, ci ho portato Amalia, mia figlia, quattordici anni, prima liceo, con la speranza che possa imparare. Imparare? Che sciocchezza. Quello per lei è stato un film, come ne ha visti tanti, uno spettacolo. E’ entrata con i Ritz e con la Coca Cola e io mi vergognavo.
Scusami Giancarlo, non avrei dovuto portarla senza prima averla fatta cenare. Ma noi vogliamo ottimizzare tutto, fare tutto. Come se dalla quantità nascesse la qualità e qui, qui, ci sbagliamo.
E poi, e poi, non da te, che sei stato diciamolo pure usato da quelli che il loro lavoro non lo hanno saputo e voluto fare: lo Stato, i magistrati, i poliziotti, i giornalisti impiegati e le persone perbene di Torre Annunziata, quelle dieci o cento, non da te capro espiatorio insieme ad altre centinaia di persone che mia figlia deve imparare la legalità, o meglio, lo stare al mondo praticando la passione la cura la giustizia per e nel proprio lavoro, ma da me, da suo padre; e poi in una scala più piccola ma ugualmente importante, dagli adulti, tutti, che la circondano, pure da te che leggi questa lista; noi adulti che ogni giorno nel pulviscolo di pratiche e di scelte quotidiane, decine, una tessitura minuta di comportamenti, costruiamo siamo edifichiamo la Società e soprattutto lo Stato. Che quello è come la tela di Penelope. Ognuno ne è responsabile e ognuno lo tesse, e rattoppa, ogni giorno. E se c’è qualcuno come Giancarlo morto a 26 anni perché ucciso dalla mafia vuol dire che tutti gli altri intorno a lui non si aspettano niente, desiderano niente, cercano niente. Io avevo 24 anni quando nel 1985 Giancarlo Siani fu ucciso a Napoli sotto casa sua, prima della doccia e della pizza, per gli articoli che aveva scritto da giornalista abusivo, senza contratto, da quella stanza di Torre Annunziata che la sua sola presenza trasformò in Redazione. Avevo 24 anni e non ne seppi niente allora, studiavo ma non leggevo i giornali: una vecchia, terribile malattia di cui ancora soffro. Uno di quei non gesti quotidiani che fanno la differenza che rappresentano o meno per Amalia un modello possibile di cittadinanza, di appartenenza al mondo.
Penelope aspetta Ulisse e io chi aspetto; anzi: che aspetto ancora per mettermi al telaio?
Teresa Ciulli
p.s. ricordati di regalare ad Amalia a Natale il disco di Vasco Rossi. C’è una canzone: l’ultima sentita da Giancarlo.
http://www.libera.it
http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1780
Il 17 novembre il Senato ha votato un emendamento alla legge finanziaria: la vendita dei beni confiscati alla mafia. Sono 3213, cita a memoria Paola una giovane donna dalla faccia intelligente, quelli che lo Stato ha messo a disposizione della società tutta che rischiano, se l'emendamento dovesse passare anche alla Camera, oggi si riunisce la commissione, di essere messi all'asta e ricomprati da chi in questo momento dispone di liquidità. Chi? Chi se non gli imprenditori del mercato della tossicodipendenza del gioco d'azzardo del mercato nero dello smaltimento dei rifiuti. Chi, dunque? Lo Stato, il ministro Tremonti, dopo aver concesso il condono al rientro dei capitali oscurati all'estero, compie il gesto successo: mettere all'asta i beni confiscati alla mafia. Lo Stato italiano drena soldi, li raccoglie, da chi ha fatto dell'illegalità il suo mestiere. I soldi con cui saranno pagati gli stipendi dei dipendenti pubblici,la pensione dei miei genitori, le spese delle strutture pubbliche, la benzina nella macchina della Polizia, le flebo negli ospedali, saranno pagati con soldi prodotti fuori dalle regole di convivenza: soldi pieni di sopraffazione, soldi che dichiarano e affermano la legge del forte, di chi impugna l'arma, su quella del debole, di chi impugna la ragione, il desiderio di giustizia..
Libera raccoglie sul suo sito le firme di quanti di noi stamattina si svegliano a una tragica verità: questo non è il mio paese da tanti anni, da quando non mi riconosco più nella sua politica privatistica che protegge l'interesse di una piccola classe di individui; ma oggi, stamattina, non è più nemmeno un paese. Nessun valore, nessuno, tiene insieme 60 milioni di persone. Ieri sera in una riunione del coordinamento provinciale di Libera ho sentito nell'aria qualcosa che ricorda la politica. Nelle forme imperfette in cui può farla ciascuno di noi la ricordava. Ieri c'erano sedute intorno a un tavolo di una sala di parrocchia, grande, disadorna, non dieci persone, dodici, ma tanti. Poteva essere il tavolo di una seduta spiritica: giustizia quando ti manifesti? Nessuno ha risposto, nemmeno il crocifisso, un metro di statura, che sovrastava il tavolo. Tutto tace. Io no.
Teresa Ciulli
Il 17 novembre il Senato ha votato un emendamento alla legge finanziaria: la vendita dei beni confiscati alla mafia. Sono 3213, cita a memoria Paola una giovane donna dalla faccia intelligente, quelli che lo Stato ha messo a disposizione della società tutta che rischiano, se l'emendamento dovesse passare anche alla Camera, oggi si riunisce la commissione, di essere messi all'asta e ricomprati da chi in questo momento dispone di liquidità. Chi? Chi se non gli imprenditori del mercato della tossicodipendenza del gioco d'azzardo del mercato nero dello smaltimento dei rifiuti. Chi, dunque? Lo Stato, il ministro Tremonti, dopo aver concesso il condono al rientro dei capitali oscurati all'estero, compie il gesto successo: mettere all'asta i beni confiscati alla mafia. Lo Stato italiano drena soldi, li raccoglie, da chi ha fatto dell'illegalità il suo mestiere. I soldi con cui saranno pagati gli stipendi dei dipendenti pubblici,la pensione dei miei genitori, le spese delle strutture pubbliche, la benzina nella macchina della Polizia, le flebo negli ospedali, saranno pagati con soldi prodotti fuori dalle regole di convivenza: soldi pieni di sopraffazione, soldi che dichiarano e affermano la legge del forte, di chi impugna l'arma, su quella del debole, di chi impugna la ragione, il desiderio di giustizia..
Libera raccoglie sul suo sito le firme di quanti di noi stamattina si svegliano a una tragica verità: questo non è il mio paese da tanti anni, da quando non mi riconosco più nella sua politica privatistica che protegge l'interesse di una piccola classe di individui; ma oggi, stamattina, non è più nemmeno un paese. Nessun valore, nessuno, tiene insieme 60 milioni di persone. Ieri sera in una riunione del coordinamento provinciale di Libera ho sentito nell'aria qualcosa che ricorda la politica. Nelle forme imperfette in cui può farla ciascuno di noi la ricordava. Ieri c'erano sedute intorno a un tavolo di una sala di parrocchia, grande, disadorna, non dieci persone, dodici, ma tanti. Poteva essere il tavolo di una seduta spiritica: giustizia quando ti manifesti? Nessuno ha risposto, nemmeno il crocifisso, un metro di statura, che sovrastava il tavolo. Tutto tace. Io no.
Teresa Ciulli
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