Esiste una gomma, è la mia, che quando la poggio sul foglio tira giù tutti i miei errori, tutti gli sbagli, tutti, tutti. Dal più recente al più vecchio; il primo, quello che feci all’età di sei anni, in prima elementare, il primo ottobre del 1966. La maestra, era una suora assai simpatica, lo prese a male, per me era solo una stanghetta che non si reggeva dritta, e me la fece subito cancellare. Da allora ne ho cancellati di errori, milioni. Anche quelli che non si potevano cancellare ho cercato di coprire di nascondere di eludere. Una massiccia operazione di esclusione. La più grande operazione bellica in cui mi sono trovata coinvolta. Giocando mai in attacco ma, sempre e solo, in difesa. Crescendo, gli errori infatti si sono spostati, dal foglio al corpo, e da quello alle relazioni ai legami, e da quelli al mondo, ecco perché nonostante grande com’è sono riuscita a sporcarlo di mio. Non ho dato peso, così come mi fu insegnato il primo ottobre del 1966: tanto c’è la gomma.
Ma io da un po’, un annetto circa, quella vecchia gomma non ce l’ho più. Inavvertitamente l’ho cancellata, forse. Da allora sono in affanno, letteralmente e fisicamente. Gli errori mi stanno tornando indietro. Lo strumento con cui ho creduto di aggiustare tutto mi sta recapitando tutto il triste approccio quotidiano. Non oso più impugnarla nemmeno perché chissà cosa mi mostra di tre anni venti giorni e tre ore fa: certo una disattenzione che pagò qualcun altro al posto mio. Questa gomma mi terrorizza adesso. Il problema è che non posso nemmeno buttarla dalla finestra, o nello scarico del gabinetto, ci ho provato, torna indietro arricchita di quel gesto di rifiuto, quel gesto maldestro che esce a fiotti sporcandomi le mani con un inchiostro che il sapone fa fatica a togliere. E’ una gomma maledetta, come maledetta è la mia vita. Io mi vivo così adesso. Soffocata da una pena così grande che non riesco a nominarla più. Troppo dolore, troppo ho visto. Troppo troppo troppo. Fuori casa, e dentro, e in me. E la bellezza dov’è. Anche il cielo è grigio stamattina. Penso ora alla felicità che ho provato l’ultima volta: il mio corpo sul tapis roulant la radio che diceva cose intelligenti e le immagini che mi scorrevano dentro cadendo dall’alto. I bigliettini che ho appuntato, li ho presi direttamente dalle mani di dio. Lui non cancella mai niente, per questo è felice, per questo il mondo è andato avanti. Gli errori siamo noi e ci ha lasciato. Ci ha fatto scoprire la gomma per farci disperare. Provare com’è la perfezione e non raggiungerla mai. O solo qualche volta e quella volta chiamarla felicità. E se fosse questo l’errore? Se invece la felicità fosse starsene su questa zolla sporca e sbagliata a vivere pienamente, con un bel respiro, questa pioggia grigia che mi unisce alla nuvola alla terra agli altri, tutti, e pure a Napoleone Bonaparte. Che l’acqua, quella, è da sempre la stessa acqua.
26 novembre 2011
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