David Copperfield, per me:
E’ un cassetto, uno di quelli che aprivo, di nascosto, assai furtivamente, dalla alta e stretta cassettiera che mia madre teneva in camera da letto. Aprivo quei cassetti per perdermi fra i pizzi delle sue sottane, fra gli odori delle saponette, per aprire quel libro, meraviglioso, indimenticabile chissà chi lo possiede adesso, dalla copertina di madreperla, tante tessere quadrate lavorate una per una, che chiudevano quel libro di preghiere antichissimo, dove aveva pregato la mia bisnonna, Laura Contegiacomo; il dorso era dorato, d’un oro scuro e una fibbia di metallo in argento chiudeva quello scrigno prezioso di parole. Un baule di parole sacre, ma anche un baule di voci. Da lì a ben ascoltare si levavano ancora in bisbiglio, in monotona cantilena, le voci delle mie avi che qualche chicco di parola ancora, la mia voce stessa conserva. Come un grumo che non si scioglie perché ha fuori una corazza di pance di donne, tutte scomparse. Tranne, della linea della mia famiglia, io e Rosanna.
E’ uno spazio pieno di silenzio, nonostante le decine di personaggi che vivono la loro vita per anni e anni. Io ci entro e per prima cosa faccio un bel respiro. Inalo silenzio silenzio silenzio fin nella punta dei piedi. Mentre la storia si svolge, tumultuosa, sinuosa, ripida, e squarcia l’ascolto con una immagine che mi resta molti minuti fissata sulla retina. E’ uno spazio grandissimo, il più grande che io conosco e che ho mai conosciuto; eppure non mi ci sono persa mai, nemmeno una volta, forse una invece. In tantissimi anni dacchè lo abito, ne avevo sette la prima volta e ora cinquantuno fra poco. Una volta quando ho avuto paura a seguire quella storia. Non mi sono fidata, proprio alla fine me ne sono andata da una porta di servizio che quello spazio di perfetto silenzio, di medicamentoso silenzio, ha sempre a vista.
E’ una gonna anche. Di quelle che piacciono a me da quando ero proprio piccola. Di quelle grandi che quando giri su te stessa quella si apre come un fungo un paracadute: la corolla di un fiore che sboccia all’improvviso colorato e felice su uno stelo di gambe che per sostenere il movimento, l’erranza alla ricerca del cibo, devono essere due. Che una gamba ce l’ha chi aspetta il cibo stando fermo: il fiore, l’albero. Tutto il resto ha trovato modo di camminare, compreso il sole. E’ una gonna che si apre a ventaglio ogni sera, per ospitare il mio sguardo, per dare un senso e un compito ma anche una carezza, alle mie mani. Carezza, da quel corpo che ha un odore tutto suo.
E’ un odore: di fieno di paglia di stanza chiusa. Un odore di giacca anche se dentro ci sono persone nude.
E’ un gradino. Non sono mai stata più uguale a prima, dopo. E’ che devo aver capito qualcosa che mi ha cambiato le cose che avevo capito prima. Questa volta che non posso tornare indietro. Che quello che non ho fatto è andato perduto, sta nella città di ciò che abbiamo perduto, una metropoli immensa che se ci vai da visitatore stai sicuro che non torni più perché ti perdi nelle strade del rimpianto che sono tutte cieche. Questa volta che, se nutro in me la certezza che mi è rimasto poco tempo, perdo pure quello.
E’ una bandiera allora, anche. Da issare alta alta sul punto più alto di me, è l'indice di una mano levata al cielo, mentre mi sforzo di non cadere che me sto sulle punte.
La pianto adesso al centro del mio cuore insieme a tutte le altre, sono decine, che in tutti questi anni ho portato indietro da tutti i territori del silenzio in cui sono andata. Con la pazienza di una formica con la passione di una innamorata con la sorpresa di chi guarda dallo stesso angolo da cui ha guardato un altro centosessantuno anni fa.
E’ la storia di una amicizia alla fine. Con qualcuno che te ne fa dono. Manco mi sa, manco mi conosce, mai mi saprà, mi conoscerà. Dici?
Quello si sbilancia tantissimo verso di me di te di noi, si fa vedere in controluce o in pieno sole o sotto la pioggia o nell’abbandono del desiderio, si mostra indossando un vestito preso in prestito ma sotto c’è il suo corpo. Trasfigurato completamente metamorfizzato. Perché lo fai? Io dico per raccogliere tutta quella pena tutto quel desiderio e quella paura e quegli abissi e farli diventare farfalle.
E’ una voliera.
Un giardino di farfalle. Adesso ce ne sono in giro per casa 1022. Compreso l’indice dei capitoli e le due prefazioni.
Una te la mando per l’anno che verrà. Lasciala volteggiare
oggi Radiorai3 dedica tutta la sua programmazione a Charles Dickens, anche Google mi sembra avere una atmosfera tanto dickensiana oggi. Forse non è un caso. Forse oggi è un qualche anniversario. Certo un anniversario è ogni volta che noi leggiamo un libro e lo amiamo, e stabiliamo con l'autore legami di serellanza di maternità di cura. Che è sempre, una cura reciproca. Il libro esiste se lo leggi. Io esisto quando mi trovo scritta. Da qualche parte, mi ritrovo. E se mi ritrovo, e più volte e in più personaggi nelle pagine di David Copperfield, il libro è un mondo. E quel mondo mi contiene. Io, anche lì, e ora lo so, esisto.
questo cosa ho appuntato sul libro di Dickens dopo averlo finito:
per molti mesi ci siamo incontrati qui, e ora dove ci incontreremo?
La risposta è stata questa:
la risposta è stata: nel mio biglietto di Natale. Mandato agli amici, alle persone che in questi anni con i loro segni mi hanno dato qualcosa che è stato importante ricevere: considerazione.
Dickens l'ho, con le forti funi della memoria ancorato alla mia eistenza, di ieri e di oggi. E gli amici in questi giorni ne hanno aggiunta un'altra di fune. Che tiene me, Dickens e loro stessi. Anche loro adesso sono qui. In questo spazio di scrittura che tutto unisce con questi delicati ponti di inchiostro simpatico: perchè si vede, appare solo qui.
ciao. buona giornata.
teresa
martedì 7 febbraio 2012
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Anche nel Silenzio di questa casa, il mio Grazie per il regalo di oggi. Una lettera inaspettata, un anniversaio, un incontro.
RispondiEliminaTi abbraccio: MR