Oggi, finalmente, ho sceso giù, ho liberato, la mia Collezione di Nuvole. Collezione di nuvole autunno/inverno 2010. Si erano andate a sollevare come vapori di carta dal grande tavolo quadrato dove mi capita, sempre più imprevedibilmente, di lavorare. Si sono sollevati vapori di trucioli di matita, vapori di tessuto leggero dove imparai a stampare anni fa i miei testi, quando facevo grandi sperimentazioni, soprattutto assai pericolose per i corti circuiti che averi potuto generare, e non certo mentali ma proprio elettrici. Si sono sollevati vapori di ritagli di carta, chissà che tagliavo in quel mentre, forse le pagine manufatte del libro sui diritti dell’infanzia. Si sono sollevati nastri e si sono andati a condensare laggiù, cioè, lassù, sopra i due coni di luce che stanno come sentinelle alla frontiera del buio. Due vulcani dalla bocca rovesciata. Sono eleganti le mie nuvole anche se una è fatta di fil di ferro, di vario tipo. E’ una nuvola di pioggia acida. Dalle altre invece cade giù matita colorata, cade giù carta, cade giù tessuto di organza, cadono giù, lettere del’alfabeto. Cade giù colore: fucsia arancio rosso rosa; verde marcio. Forse per questo che si sono sollevate, per riprendere, in un giorno di temporale il loro ciclo di vita. Riprendere il loro cammino circolare dalla terra al cielo e una volta lì, di nuovo alla terra. Un cammino che si è interrotto qualche anno fa. L’ultima mostra mia, quando è stata, mi sembra che è passato tanto tempo. Sì, dico, una mostra voluta da me e non una di quelle che mi sono trovata a fare perché me la hanno proposto gli altri. Una roba tutta mia insomma. Come questa collezione di nuvole. Che c’è da dire che sì, che conta l’eleganza di una nuvola, il suo vestito la sua forma il suo colore la sua misura, se è grande o piccola, certo conta eccome se conta, ma per me, ha contato pure il suo cordone ombelicale, il modo con cui l’ho tenuta issata, agganciata, con il suo peduncolo di tessuto o spago o fil di ferro, al cielo della mia doppia lampada. Devo pure dire che hanno proiettato la loro ombra su di me sul tavolo, sull’oceano di Debussy che è l’ultima grande opera di carta fatta in questo periodo. L’amico Matteo, che lo ha fotografato mentre costruivamo il video di Reflets dans l’eau, le ha tolte di mezzo arrotolandole fra loro. Non erano più nuvole da un bel po’, tre mesi. Forse se ne erano andate in un pensionato per nubi, un triste luogo senza più un cielo. Si erano perdute e io non me ne sono accorta. Per fare ordine devo cominciare da qui. Dall’ospizio delle nuvole. Sono loro, una per una. Sono andata a trovarle, no a prendermele. Le ho sciolte dal loro incantesimo di fili imbrogliati e le ho scese giù. Stanno adesso come misteriose concrezioni in attesa di me. La loro mamma. Io partorisco nuvole; come una qualunque ciminiera di una qualunque periferia industriale. Ma le mie si fermano prima: addirittura prima di arrivare a toccare il soffitto del mio studio. Spesso si fermano dentro di me, sul solaio della mia testa. Talvolta sono fortunate ed escono dalle orecchie dal naso dalla bocca dagli occhi: ma dalle mani di più. Ho fatto l’artista in questi vent’anni. Dal 1992 a ora. Da quando scrissi una lettera d’amore. Ora ho tante nuvole da classificare. Cominciando da queste qui. Per farne che, per farne cosa: una sfilata? No e basta con queste sfilate. Per farne una pioggia una pioggia che duri tre anni, saranno sufficienti. A ripulire di nuovo la terra. A restituirci il sole.
. la prima goccia.
Teresa, 13 maggio 2011, venerdì
nuvolario
E' in vendita
58 x 76
2011
Nessun commento:
Posta un commento