Caro papà, due mesi fa il 3 gennaio, Rosanna chiuse, nel tuo scrigno terrestre ultimo, anche il mio biglietto di Natale. Mi commosse molto vederlo fra le tue mani bianchissime e belle che tante volte hanno stretto le mie, fin da piccola, per riscaldarle con il tuo calore. Avevi sempre le mani calde. Tranne quest’ultima estate, quando ti abbiamo ricoverato. Avevi riscaldato le mie mani per 96 anni. Un lunghissimo tempo. Tanto lungo papà che quando ti sei trovato quel biglietto fra le mani, anche allora lo hai fatto vivere. Io, che pensavo di non spedirlo mai più, che si era trovato addosso tutte quelle macerie, la mia vita e non solo, ho visto in me dopo qualche giorno, che quello mi veniva incontro, che si faceva spazio, lui, piatto come un topolino che vuole passare sotto la soglia di una casa dove sente odore di formaggio, e quell’odore fa miracoli sulle giunture delle sue ossa. Così, allo stesso modo, anche il mio biglietto è passato. E’ passato da lì, da quel mondo davvero inaccessibile e si è presentato dietro la porta della mia mente.
Eccomi. Non buttarmi via mi hai detto;
fammi viaggiare, fammi raggiungere le persone che hai conosciuto a cui hai raccontato negli anni qualcosa di te, della vita che andavi ragionando su un pezzo di carta, in un disegno, fammi diventare uno strumento che porta altro. Che cosa papà? Il diritto a vivere ad affermare i propri bisogni a far circolare le idee le immagini i pensieri che appartengono alla nostra storia. Qualcuno mi dice che sono fin troppo prepotente. Però è strano che io al contrario mi sia vissuta in modo così ribaltato, come una che subisce i conflitti. Qualcosa certo non deve aver funzionato. Non posso sciogliere l’enigma, forse non sarà sciolto mai più. Posso però aggirarlo. Come si aggira un ostacolo che sembra che occupi tutta la Terra e poi, quando ti metti in cammino, ti rendi conto che esso occupa solo lo spazio del tuo piede. E’ che lo guardavi così da vicino da non vederlo più in relazione a tutto il resto. Ecco perché papà è stato facile poi spedire il mio biglietto di Natale. Anche se difficile oggi, chiuderlo. Consegnare il libro, da cui ho tolto tutte le didascalie messe in bocca a Dickens, alla parola fine. Il biglietto che mi è tornato indietro da tanto lontano, lontano anche si è spinto. Così tanto che oggi non vedo più nulla di familiare intorno a me. Dove sono?
La penna è la mia sola ancora; o la punta aguzza di un compasso quella dove poggia, per capire, allargando il suo braccio, quanto spazio ancora ho da attraversare. Su una carta nautica dove però non c’è che il bianco. Io, però la destinazione la conosco.
E’ l’isola che non c’è. Seconda stella, a destra. Quella che mio padre mi ha lasciato, andandosene.
tasca dove stanno le E senza accento
2012
libro d'artista
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