In un attimo si afferrano tante cose. Se riesci ad appuntartele da qualche parte. Per questo ti consiglio di portare sempre con te una piuma raccolta al mare, tantissimi anni fa. Quando il mondo era calmo. Perché non squillavano i telefoni cellulari, non eravamo sempre raggiungibili, e potevamo sostare con il mondo. Andarcene a spasso alla sua folle velocità, 34 chilometri al secondo nello spazio, nel vuoto. Che cos’è poi il vuoto è una domanda da riempire, a meno che tu non abbia la saggezza di lasciarti cadere dentro o sopra, non lo so come si cade nel vuoto. In quegli anni, gli anni 90, io disegnavo con una tranquillità dentro che appartiene tutt'oggi alle divinità indiane. Quelle che se ne stanno a dieci braccia a raccogliere da ferme, nella posizione del loto, qualcosa che non si vede se non le guardi. Le loro mani pizzicano qualcosa. Il vento e quello che il vento porta: l’urlo di un bambino e il suo pianto, la disperazione di una mamma che ha perso la pazienza senza che lo volesse, anzi, voleva proprio il contrario. Com’è che accade che facciamo le cose al contrario io davvero non lo so. Me lo sono chiesta tante volte in questi anni mentre facevo cose che proprio non volevo, il problema è che ho continuato a farle. Ma succede anche a te? Le mani delle divinità invece pizzicano la loro ferma, tranquilla volontà che fa manifestare solo ciò che vuole, non il contrario. Negli anni 90 era facile per me fare proprio come desideravo. Non c’era nessuno, un piccolo intendo, un figlio, a farmi vedere l’altra metà di me stessa. Quella parte che, dopo la nascita di un bambino, scopre di essere cattiva. La mia grande opinione, la grande opinione che avevo di me, già nel 2000 cominciava a modificarsi. Avevo paura di diventare mamma. Paura. Non l’ho avuta così grande nemmeno quando sono stata malata e lì, certo, che ci potevo morire. Ma la morte quando sei nel cuore dall’amore non ti può raggiungere mai, nemmeno se ti ammazza. Perché chi ti ama poi sempre ti porta con sé. E’ l’eternità sulla terra a cui i buoni i giusti i belli i saggi hanno diritto; a cui hanno diritto tutti gli amori ricambiati. I cattivi e i cattivi amori, no. Ecco perché l’immortalità sulla terra come mamma te la guadagni solo dopo che il figlio è a sua volta diventato padre, e madre, e capisce cosa accade; che rivoluzione dentro la vita di chi cresce qualcuno, di chi ne diventa responsabile, per sempre.
E’ questa parola, per sempre, bellissima se gemma quotidianamente nella libertà di una scelta, ma si aggroviglia tutta e diventa un nodo su cui fai altri nodi nel tentativo di scioglierlo e ti cade addosso come una montagna, se non riesci a vederla per come è. Piena di porte, di soglie di usci di tappe di tacche. Piena di scalini, di curve di panchine. Di interruzioni. Di altre direzioni possibili. Un figlio è nello stesso viaggio che fai tu, non è diverso. Se nel frattempo scopri qualcosa, anche la lui la scopre. E se tu piangi, pure lui lo fa. E se decidi qualcosa la sua decisione pure è presa. Per ora, per oggi. Come per te. Ma finchè non capisci e soprattutto non accetti questo zigozago, e il dolore, i problemi che te ne vengono, non ti resta che buttarti nella mischia e prendere i fogli di carta così come vengono, nella furia nella fretta nell’approssimazione, prendere le idee così come sono e percorrerle subito. Anche se sbagli a disegnare se sporchi il foglio e se non ti piace quello che hai fatto capisci che ti devi fermare e mettere la firma. Per sempre, non esiste, se non nelle mani delle divinità indiane e nelle mie, molti anni fa, negli anni 90. Sono quadri bellissimi, perché anche non li rifarò più. Trattengono qualcosa, come la resina trattiene quella formica che ci cascò nel tentativo di raggiungere la briciola; e infatti l’amico Ruggiero fomentato e fomentante, tentò e credo riuscì a difenderli dagli oltraggi del tempo facendo loro intorno delle cornici bellissime, dei veri e propri cassetti. Delle teche, come quelle che custodiscono le immagini dei santi all’inizio del Novecento. Sono delle immagini sacre. Appartengono a un mondo da cui mi sono separata per sempre. Non lo rimpiango. Rifarei tutto, bè tranne qualcosa. Lì ero sola facevo accedere qualcuno solo se regalmente lo includevo nel mio spazio, e nel tempo che volevo; qui invece sono in gran compagnia, e io accedo allo spazio degli altri mostrando loro il mio desiderio bisogno, voglia di crescere insieme. Cadiamo tutti insieme, e insieme ci rialziamo. A volte per darci la mano ci sbilanciamo e chi ha aiutato uno ad alzarsi cade di nuovo. A me è capitato. Mi sono fatta male. Alle divinità indiane e ai miei quadri degli anni 90 non succede. Succede a chi, invece, oggi li guarda. Me compresa.
fu un'onda che mi portò
1995
61 x 52 x 12
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