Non potrò più leggere, ora ne ho la certezza, tutti i libri comprati in questi anni nelle librerie. Quelli scelti per il titolo, alcuni; quelli per le copertine, pochi; quelli cercati dopo un passaparola, un terzo forse. Quelli di cui pensavo avere bisogno e invece neppure ho mai aperto la prima pagina. E sono passati decenni. Adesso che faccio così fatica a leggere un libro, uno solo e solo perché mi piace moltissimo, roba che ci metto dai due mesi a un anno e mezzo, dipende dalla lunghezza, so che per tutti gli altri, tutti quelli che non ho letto nel momento stesso in cui li acquistavo, non ci sarà più un lettore. Sono oltre la metà dei libri che posseggo, forse, orrore, i tre quarti di forse un cinquecento libri. Ne avrò letti al massimo un centinaio. La gran parte dei quali duranti gli anni belli, dagli 8 ai 40. Ma i migliori, invece, li ho letti in questi ultimi anni, dai 40 ai 50, gli indimenticabili. Quelli che mi stanno dentro come dentro possono stare gli amici con cui condividi i dolori più grandi le pene e le fatiche che sembrano non finire più. Quel genere di libro ora leggo, li pesco dai classici, dalle grandi storie dell’Ottocento, dai quei grandi autori, con qualche folgorante eccezione. Li incontro, uno, due, per caso, gli altri me li consiglia una mia amica, libraia fino a Natale, poi dovrà chiudere bottega perché proprio non ce la fa a mandare avanti dopo oltre quindici anni di intensa fine magistrale attività, la sua vita. Le piccole librerie indipendenti sono schiacciate dal mercato delle grandi librerie, dalle catene editoriali dei prodotti globalizzabili e delle promozioni per fasce di acquirenti.
Non si può penso, di questi tempi neppure più parlare di lettori e non si può più nemmeno parlare di libri. Non esiste più qualcuno che si isola col suo libro in mano e nonostante l’immensa proliferazione dei libri, si fa fatica a trovarne uno che ci chiami zitto zitto. Non solo ma nessuno di noi, in questo angolo illusorio di mondo, riuscirà più, come me, a leggere tutto quanto è arrivato a possedere. Una sconfitta grava sulle mie spalle, e sulle tue. Sulle nostre. Abbiamo anche ormai difficoltà a disfarci di quello che possediamo. Lo smaltimento di noi stessi. Eppure dovremmo cominciare subito. Innanzi tutto smettendo di comprare. Che parole impopolari le mie. Avrò tutti contro. Ma sento necessario un gesto con cui cominciare a invertire la rotta. Ti devi prima fermare e poi girare su te stesso. Non si tratta di tornare nel punto da cui si è partiti, quanto invece di capire che ne è stato nel frattempo dei luoghi delle persone delle cose che abbiamo messo da parte come se ci fosse poi un’altra vita in cui utilizzare tutto quello che abbiamo stipato in noi, come se dovessimo affrontare un viaggio interstellare di decine e decine di anni luce.
E’ una smobilitazione ed è il poco quello che mi sembra utile cercare in me. Ma anche il gioco salverei. La capacità di stare insieme a qualcuno condividendo una passione una motivazione un bisogno. Bisogno! Ecco la parola magica che fa vacillare tutto nel momento in cui la pronuncio. Che, di bisogni, noi qui non ce ne abbiamo proprio più. Apparentemente. Io, per esempio, ho bisogno di silenzio per capire qualche cosa di me. E lo cerco nelle Chiese e lo cerco davanti al computer e aprendo Word. Ho bisogno anche di fare spazio, di vuoto ho bisogno, e di tenere questo vuoto vivo per un po’, forse tutto il tempo che mi rimane. Ho bisogno di spogliarmi della mia identità ingombrante e di godere invece della difficoltà di cui sono venuta a capo. Se togliere è stata spesso la mia esigenza, questo togliere è diventato una priorità.
E dunque togliamo di mezzo che mi aspetto che qualcuno mi consigli un libro, non posso sovraccaricare oltre ciò che accade con il suo ritmo nelle mie già difficili giornate passate a fare lo slalom fra i bisogni dei miei figli la cui presenza mi arricchisce smisuratamente. A fare lo slalom fra la pena di sapere un pezzo, l’unico rimasto della mia famiglia di origine, sospeso nelle grandi difficoltà che genera la distanza spaziale quando c’è di mezzo la malattia la vecchiaia la solitudine. A fare lo slalom fra quei pochi impegni che riesco ancora a fare entrare dalla porta principale della mia coscienza. Cosa c’entra dunque la festa dei lettori in una vita così? Anzi, come c’entra se non affratellandosi al cavolo a merenda. Oppure, al contrario, c’entra nella misura in cui la restituiamo al mittente modificandola dall’interno. Io non voglio leggere altri libri. Sono già felice del fatto di riuscire a finire quello che sto leggendo adesso, perché mi piace immensamente e leggerlo mi fa fare un viaggio nel tempo nello spazio e nella mente di un immenso scrittore, e già mi pongo in corso d’opera il problema di aprire qualcuno dei libri che sosta, bistrattato da decine d’anni, fra le file mute dei libri presto abbandonati nella libreria. Un luogo assurdo a pensarci. Che stanno a fare così, e lì. In quella forma privata che li esclude da ogni contaminazione da ogni sguardo altrui. Privandoli di fatto per sempre della possibilità di esistere nella loro forma. Luoghi di reclusione le nostre case: di libri di dischi di vestiti di oggetti di quadri. Prigioni, penitenziari della memoria. Ma la memoria dovrebbe tornare ad essere quella che è stata prima di questo intasamento dovuto alla nascita dell’individuo,un prodotto tutto Novecentesco. Un prodotto, appunto. La memoria dovrebbe consistere nella capacità di stare con gli altri di trasmettere conoscenze affetti solidarietà. E di condividere il tempo nelle varie forme in cui si accede a questa condivisione, anche, soprattutto? attraverso il gioco.
Ecco perché poiché non voglio che nessuno mi consigli un libro, che tanto il tempo per leggerlo è finito, credo sia necessario liberare le pagine del libro senza lasciare alcuna traccia, anzi, cancellandola nel momento stesso in cui si produce. Cominciamo a togliere da subito. Cosa resta allora? Per chi c’è, l’esperienza che non si ripeterà più di una babele di parole tirate fuori da ciascuno da poche pagine lette ad alta voce contemporaneamente a tutti gli altri. La svelta edificazione di una sfera sonora che non esisterà più nel momento stesso in cui cesseremo di leggere tutti insieme. Perché allora questo gesto così inutile? Chiassoso? Non è mai inutile segnalare un malessere mai inutile esprimere il proprio disagio a continuare la vita in questa forma che non nutre più la coscienza. E poi questo incontro di lettori altro non è se non l’incontro di uccelli nella zona di passo. Durante le migrazioni si ritrovano nei bacini dove c’è acqua e cibo. Cantano tutti insieme la loro libertà. E la libertà non è affatto inutile è invece il bene più grande che dobbiamo difendere oggi da una organizzazione sociale che la restringe ogni giorno di più togliendoci i diritti al bene pubblico: la salute l’istruzione l’ambiente: la legge. Io non voglio essere un consumatore ma un fruitore, un cittadino che beneficia di un servizio, quello alla cultura; e di un diritto: quello ad avere la risposta dello Stato al mio bisogno fondamentali: vivere insieme agli altri e magari scolpire l’occasione in cui condividere un bisogno che si trasforma in una giornata irripetibile e che nessuno conserverà se non nel racconto. Stare al centro di una palla di parole che alziamo tutti insieme per un’ora in aria. Un’orchestra di lettori? Sì, un’orchestra di pagine belle da liberare nella voliera più grande che c’è: la nostra Terra errante.
giovedì 22 settembre 2011
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