nella lingua dell’upupa
Chissà che strano seme ha fatto nascere questa strana pianta, stamattina, all’improvviso. Una folata di sole l’ha piantata nell’immaginazione. E’ un seme delicato quello. La terra che lo nutre è il mio corpo stesso. Una vaso pieno di storie di persone di affetti di una parte dei quali sono stata derubata. E di quelli però, di alcune persone che vivono oggi nel teatro della mente, ancora mi nutro. Non le ho fatte andare via. Vivono insieme a chi con me, nel presente, sta arrabbiato affaccendato stanco timoroso o forte dentro la vita, conficcato in quella. Ma in me è solo quel gesto libero di piantare un seme che non esiste mettendo in bocca a un’upupa vista stamattina tornando a casa, travolto lo sguardo dal suo volo marrone e nero che disegna onde nel cielo, una frase che dovrei essere io a dire: confondere i canti. Invece io rubo all’upupa il suo. Per un po’ me ne voglio stare straniera a me stessa e incantarmi di un racconto in una lingua sconosciuta.
Teresa
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