mercoledì 26 agosto 2009
parole all'orecchio
Mi è successo daccapo. E’ la seconda volta. Sempre con lui. Mi blocco. Ho paura di andare avanti. Punto i piedi e mi fermo. La volta scorsa dovetti scrivere, mettermi al computer, come oggi, e scrivere. Analizzare le emozioni che si erano poste fra me e lui, come una diga, un ostacolo. E anche adesso, oggi pomeriggio. La prima volta fu con Guerra e Pace. Ricordo anche la pagina. Natasha, già innamorata del conte Andrej, partecipa con suo fratello a una battuta di caccia alla volpe. Ero convinta, certa che morisse. Quella battuta di caccia in quel punto del libro, con quei forti, ma pure contrastati sentimenti già seguiti nella loro evoluzione, mi pareva foriera di un avvenimento terribile. Ero terrorizzata. Avrei voluto entrare nel libro e dire, senti Natasha, stattene a casa oggi. Mi fu impossibile allora, e mi risulta altrettanto impossibile adesso. Lèvin che deve trascorrere la notte con suo fratello Sergej Ivanovich, perché non ce la fa ad attendere le quattordici ore che lo separano dalla richiesta di matrimonio che farà ai genitori di Kitty, la sua eletta. Anche questo un amore fortemente combattuto, dentro e fuori. Il libro, in questi passaggi epocali della storia, coincide così fortemente con la vita, quella mia, che ne provo una pena reale. Ma anche un amore che si rinnova. Non voglio sapere, non voglio. Eppure la vita di cui quasi tutto non so, va avanti, la mia come quella di Kitty e di Levin nel libro già scritto da Lev Tolstoj. A che serve fermare, e cosa e chi poi. Sto in alto, sul crinale del libro, in alta quota, sto in alto sul crinale della mia esistenza. Ci sto ormai. Posso solo scendere o continuare a salire. O posso guardarmi intorno. Ci sono appuntamenti da onorare, amore da condividere, bambini da proteggere, urli da lanciare, bisogni da esprimere, e un libro della garzanti in edizione economica appoggiato da due mesi sul mio comodino, nella stanza da letto, sono alla fine del primo volume. Sta scritto Anna Karenina. E dentro c’è una fotografia di Tolstoj a cavallo scattata nella metà dell’800. Lui porta una berretto con la visiera. Ha una bella barba bianca che gli arriva al petto. Portamento fiero. E un sorriso mentre guarda verso di me. Ha scritto la prefazione Serena Vitale,di cui lessi anni fa l’indimenticabile Bottone di Puskin. E’ un concentrato di vita questo libro: ci sta sempre, spremuta nelle pagine anche la nostra, la mia. Faccio le orecchie ai miei libri, è l’ultimo gesto, prima di separarmi da loro. Come direbbe il lupo: per sentirti meglio.
venerdì 21 agosto 2009
la parola indifesa
C'è una dimensione enfatica, teatrale, della parola che non mi piace e che qui, nel blog, risulta particolarmente fastidiosa. Anzi pericolosa. In primo luogo per me stessa, perchè mi espone al sentimento della vergogna. Lo sento addosso. Devo stare attenta quando entro qua dentro a non farmi prendere la mano dall'estetismo della parola, e del gesto. Questo aspetto è così delicato e fondamentale: è la dimensione etica della parola, unico veicolo che abbiamo per conoscere noi stessi, e forse gli altri. Il rifiuto è il sentimento provato. E ora con cautela mi muovo in questo rettangolo bianco che il blog mi mette a disposizione, è una finestra in fondo, per guardare e farmi guardare. Meglio. Per leggere nello spazio bianco qualcosa che appare perchè lo sto cercando, e farmi leggere da chi pure sta cercando dall'altra parte del suo schermo. Questo spazio non può essere un diario privato, la vergogna provata nello scrivere di un fatto personale ancora me lo dimostra. Perchè nulla qui è privato. Qui tutto è pubblico; pensiero che si rappresenta, quando non si celebra. Questo spazio ha senso e conserva la sua verità, e utilità, solo nella sua piena accezione pubblica. Ricomincio da qui. Difendendomi da me stessa.
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