mettendo in ordine ho trovato la fotocopia di un articolo di don Franco Maiorano pubblicato da il Paese Nuovo, un quotidiano uscito regolarmente nel Salento a partire dalla fine degli anni '90 e fino a più o meno quattro anni fa. L'articolo, scritto da don Franco, è uscito il il 26 ottobre del 2007. E sembra, come moltissime cose e manifestazioni sue, essere accadute in un tempo che ancora ha da venire; Franco vive ragiona discute scrive, avendo come valori non negoziabili l'onestà, la coerenza. La fede si radica su quella posizione morale.
L'articolo ha come titolo: Il celibato e gli imitatori dei farisei. Come occhiello: Il sacerdozio tra gli obblighi anacronistici imposti dalle norme e il messaggio evangelico. Forse il titolo non è suo ma una scelta della redazione, non lo so. Corrisponde però al contenuto della riflessione. Riporto a seguire e per intero il suo scritto, virgole comprese. L'esempio di don Franco ancora nutre la mia ricerca di Dio.
"Se noi non siamo convinti e non riusciamo a convincere non abbiamo il diritto di essere pubblici. In tal caso dovremmo riconoscere di essere superflui.
Ma, attraverso la nostra assenza di convinzione, toglieremmo alla società ciò che per essa è obiettivamente insostituibile: le fondamenta spirituali della sua umanità e della sua libertà. L'unica forza attraverso la quale il cristianesimo può acquisire una valenza pubblica è, in definitiva, la forza della propria verità interiore".
Sono impegnato a leggere il libro di G. Zizola, Fedi e Poteri, e alla pagina 124 ho letto il brano che costituisce una stupenda affermazione di J. Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, che mi ha entusiasmato e mi ha fatto entrare in una crisi profonda. Il motivo: avevo letto in mattinata l'evoluzione della vicenda di don Sante Sguotti, sacerdote della diocesi di Padova, che si dice innamorato di una parrocchiana che vuole sposare e disposto a seguire come padre adottivo il figlio di lei.
Chiudendomi in me stesso, ho fatto leva sulla "forza della mia verità interiore", per formarmi ed assumere una posizione per quanto possibile equilibrata.
La situazione del mio confratello presenta tanti risvolti. E' legittima la sua posizione? Può essere trasgredito l'impegno del celibato senza autorizzazione e con l'intento determinato a celebrare il matrimonio pur rimanendo sacerdote officiante?
E' legittima la posizione del Vescovo che rimuove il parroco dall'esercizio del ministero sacerdotale? Le norme vigenti a cui si attiene il Vescovo sono da preferire all'essenza del messaggio di Cristo che non esprime alcun cenno al celibato sacerdotale?
E, in sostanza, io devo pormi dalla parte del mio confratello, di cui sento forte l'obbligo della solidarietà per una posizione che ritengo molto giusta, o devo aderire alla decisione del Vescovo che esprime fedeltà alla norma istituita dalla suprema autorità dell'istituzione ecclesiastica?
Mi viene subito in mente l'affermazione di San Pietro che dice: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Ma so che sarebbe molto comodo aggrapparmi all'apostolo senza considerare le esigenze dell'istituzione sorta per facilitare il bene comune e la fedeltà alla Parola di Dio.
Il problema è di portata considerevole ed, ovviamente, non tocca a me proporre la soluzione, né a don Sante, che apprezzo moltissimo per il coraggio straordinario di denunciare l'esistenza di un fenomeno assai inquietante: oggi risulta anacronistico l'obbligo del celibato, che pure è un atteggiamento ammirevole per tanti motivi, ma solo se seguito nell'ambito della libertà. Purtroppo, situazioni trasgressive personali e subdolamente collettive sono numerose e anche oggetto di sanzioni penali.
D'altra parte, trovare una soluzione soddisfacente, non è facile. Ciò non toglie, però, che il problema molto grave debba essere affrontato radicalmente e rapidamente. A questo proposito risulta cogente al cento per cento l'affermazione del Papa riportata all'inizio, e che se trascurata, renderebbe superflua l'istituzione ecclesiastica privandola del diritto di essere pubblica.
Anche se non ha importanza la mia posizione, e non mi pongo il problema di tante persone 'per bene' che preferiscono aggrapparsi alla saggezza della prudenza e del silenzio per non compromettersi con la cruda realtà, sento di evidenziare con la forza della mia verità interiore solidarietà con don Sante e auspicare con voce alta l'attenzione e l'impegno di tutti i Vescovi per risolvere il problema del celibato.
Aggrapparsi alle norme al di sopra del messaggio si risulta imitatori dei farisei che osservavano il fallace e trascuravano l'essenziale.
L'impegno del sacerdote è quello di annunziare e celebrare la Parola di Dio in autenticità e coerenza, in stato celibatario o matrimoniale, come Dio tramite il suo Figlio Gesù ci ha insegnato.
Oggi, più che in passato, la società esige trasparenza da tutti, ma prima di tutto da coloro che fanno professione di proclamazione della Verità.
sabato 5 agosto 2017
sabato 17 ottobre 2015
La Chiesa che Franco è stato
Qualche giorno fa mia sorella cercando nella sua libreria che straripa di libri carte dischi ha trovato un foglio A4. E' la fotocopia di una lettera scritta nell'estate del 2012 da Franco Maiorano. Il nostro amico sacerdote; il mio padre spirituale. Leggendola mi sono accorta che riassume benissimo i contenuti della sua vita. Continuo a credere che ho avuto la fortuna di incontrare la Chiesa come sarà tra cento anni; se essa, e cioè anche noi, saprà e sapremo affrontare i cambiamenti che questo tempo storico ci chiede di agire.
Se ricordo bene la spedì a Rocca, la rivista che viene pubblicata presso il centro di spiritualità della Cittadella, ad Assisi. Non so però se fu mai pubblicata. Lui per anni ha preso la parola pubblicamente e so che ha scritto almeno a due papi per chiedere di considerare con più coraggio le deformazioni comportamentali e soprattutto teologiche, nella sostanza della fede insomma, prodotte da una forte e burocratizzata gerarchia che Franco identificava con il Potere più che con la Tradizione, perché in fondo stiamo parlando della stessa cosa percorsa battendo due strade differenti -e chissà quante altre strade possiamo usare per percorrere questo territorio di venti secoli di Rivelazione. So, conoscendo Franco e avendolo seguito fino alla fine, che è morto conservando lo stesso spirito che la lettera conserva. Presumo che si era ulteriormente essenzializzato. Fra il primo e il secondo ictus che poi lo ha definitivamente immobilizzato, mi riferisco a un intervallo di dieci giorni, a fine marzo di quest'anno, era andato a Roma, lui un giovanotto di 87 anni con la faccia tumefatta a causa della prima caduta che aveva subito e a cui non aveva voluto dare nessuna importanza, a trovare un suo amico che era diventato amica. Un transessuale insomma. Per lui la coerenza era il valore su cui si misura la persona umana. Essa sta oltre il sesso; sta in quella qualità che appartiene all'anima; all'essenza spirituale. Nella coerenza fra pensieri e azioni. Fra mondo interno e agire esterno. Una coerenza che ha come obiettivo la giustizia. Ovvero il bene. La gratitudine e il rispetto per la vita. La propria prima di ogni altra. Ciao Franco. Ti lascio parlare adesso.
Egr. Direttore,
la prego di collocare in codesta eccellente rivista il presente modesto elaborato.
Grazie e cordiali saluti.
Son prete da più di cinquantanni e piuttosto lucido mentalmente. Non so spiegarmi perché conservo ancora una discreta serenità, continuo a invocare lo Spirito di Dio che mi illumini e l'angelo custode che mi guidi.
La motivazione della premessa e del seguito di questo elaborato: negli anni in cui si celebrò la massima assise cristiana, il Concilio Vaticano II, esultai e cominciai a sperare nella traduzione in pratica delle sagge ed evangeliche proposte scaturite dalla provvidenziale riunione dei legittimi pastori voluti dal Cristo.
Auspicai anche, ed auspico, una conversione del massimo pastore attuale (e per anni autorevole funzionario del dicastero difensore della fede).
Tutto invano.
Pronunciamenti solenni, parole evasive con la presunzione di conservazione e continuità, convegni e sinodi tendenti soltanto ad ammutolire le rivendicazioni di quanti invocano coerenza.
Mi costa molto alimentare la speranza, anche se convivo in ambiente di esemplari testimoni della Parola di Dio, ma in territorio, diocesano e nazionale, con confratelli quasi rassegnati, desiderosi di miglioramenti ma privi di elasticità rinnovativa.
I fedeli, sempre più numerosi, abbandonano la pratica della religione perché non riescono a dare credibilità ai componenti dell'istituzione ecclesiastica, preti e vescovi; e i fedeli più introdotti frequentano aggrappandosi solo al Celebrante eterno che ci ama.
Sento, ormai, il bisogno di "gridare" contro le omissioni.
L'antidoto all'abbandono e all'indifferenza dei credenti è nelle proposte purificatrici dei difetti dell'istituzione e rinnovatrici dei comportamenti secondo "i segni dei tempi".
I preti, ad esempio, debbono risultare liberi di scegliere il celibato (per convinzione e non per obbligo) o il matrimonio (interessante l'invito di San Paolo a Tito e quindi ai vescovi di sposarsi una sola volta e dimostrare di saper gestire la famiglia per risultare credibili nelle esortazioni); gli sposati, probi viri, debbono poter diventare sacerdoti; i risposati debbono poter rientrare a pieno titolo in comunità; le donne debbono esser pari agli uomini anche in simili scelte; i fedeli debbono poter collaborare con maggiore responsabilità; il contatto con le altre chiese cristiane deve diventare fraterno, con le altre religioni deve risultare confronto rispettoso; con i non cristiani, con i non credenti il dialogo deve diventare possibile e necessario.
In sintesi, il Concilio ci porta a renderci autentici seguaci del "sì, sì, no, no" evangelico e smettere di far leva sulla prudenza, sulla diplomazia, sugli atteggiamenti che rischiano di diventare infingardi da parte dei responsabili di livelli altissimi.
Il Cristo che ha dato la vita per liberarci dal male non può tollerare che ci comportiamo da vanificatori di tanto dono e fautori di ritorno nell'abisso della menzogna.
Francesco Maiorano
3392747429- Bari
Franco non risponde più a questo numero. Lo si può incontrare personalmente nel Mondo che Verrà (io lo credo); ha vissuto con grande coerenza e limpidezza, massima frontalità. Non era perfetto e questo gli ha consentito forse quella apertura all'amore per il prossimo che precede le sue coraggiose e sempre pubbliche prese di posizione. Come l'hanno tollerato nella istituzione ecclesiastica io non lo so. Bisognerebbe chiedere al suo vescovo, Mons. Francesco Cacucci. Forse perchè la Chiesa oltre a essere peggio di quanto si rappresenta è, per alcune esperienze e in alcune comunità, anche meglio di quello che crede di essere....Certo ne ha subite di umiliazioni, allontanamenti, ma la sua vita irreprensibile e l'adesione incondizionata alla sua scelta: essere sacerdote, lo hanno protetto. Fino alla fine, che per chi crede: è l'inizio.
Se ricordo bene la spedì a Rocca, la rivista che viene pubblicata presso il centro di spiritualità della Cittadella, ad Assisi. Non so però se fu mai pubblicata. Lui per anni ha preso la parola pubblicamente e so che ha scritto almeno a due papi per chiedere di considerare con più coraggio le deformazioni comportamentali e soprattutto teologiche, nella sostanza della fede insomma, prodotte da una forte e burocratizzata gerarchia che Franco identificava con il Potere più che con la Tradizione, perché in fondo stiamo parlando della stessa cosa percorsa battendo due strade differenti -e chissà quante altre strade possiamo usare per percorrere questo territorio di venti secoli di Rivelazione. So, conoscendo Franco e avendolo seguito fino alla fine, che è morto conservando lo stesso spirito che la lettera conserva. Presumo che si era ulteriormente essenzializzato. Fra il primo e il secondo ictus che poi lo ha definitivamente immobilizzato, mi riferisco a un intervallo di dieci giorni, a fine marzo di quest'anno, era andato a Roma, lui un giovanotto di 87 anni con la faccia tumefatta a causa della prima caduta che aveva subito e a cui non aveva voluto dare nessuna importanza, a trovare un suo amico che era diventato amica. Un transessuale insomma. Per lui la coerenza era il valore su cui si misura la persona umana. Essa sta oltre il sesso; sta in quella qualità che appartiene all'anima; all'essenza spirituale. Nella coerenza fra pensieri e azioni. Fra mondo interno e agire esterno. Una coerenza che ha come obiettivo la giustizia. Ovvero il bene. La gratitudine e il rispetto per la vita. La propria prima di ogni altra. Ciao Franco. Ti lascio parlare adesso.
Egr. Direttore,
la prego di collocare in codesta eccellente rivista il presente modesto elaborato.
Grazie e cordiali saluti.
Son prete da più di cinquantanni e piuttosto lucido mentalmente. Non so spiegarmi perché conservo ancora una discreta serenità, continuo a invocare lo Spirito di Dio che mi illumini e l'angelo custode che mi guidi.
La motivazione della premessa e del seguito di questo elaborato: negli anni in cui si celebrò la massima assise cristiana, il Concilio Vaticano II, esultai e cominciai a sperare nella traduzione in pratica delle sagge ed evangeliche proposte scaturite dalla provvidenziale riunione dei legittimi pastori voluti dal Cristo.
Auspicai anche, ed auspico, una conversione del massimo pastore attuale (e per anni autorevole funzionario del dicastero difensore della fede).
Tutto invano.
Pronunciamenti solenni, parole evasive con la presunzione di conservazione e continuità, convegni e sinodi tendenti soltanto ad ammutolire le rivendicazioni di quanti invocano coerenza.
Mi costa molto alimentare la speranza, anche se convivo in ambiente di esemplari testimoni della Parola di Dio, ma in territorio, diocesano e nazionale, con confratelli quasi rassegnati, desiderosi di miglioramenti ma privi di elasticità rinnovativa.
I fedeli, sempre più numerosi, abbandonano la pratica della religione perché non riescono a dare credibilità ai componenti dell'istituzione ecclesiastica, preti e vescovi; e i fedeli più introdotti frequentano aggrappandosi solo al Celebrante eterno che ci ama.
Sento, ormai, il bisogno di "gridare" contro le omissioni.
L'antidoto all'abbandono e all'indifferenza dei credenti è nelle proposte purificatrici dei difetti dell'istituzione e rinnovatrici dei comportamenti secondo "i segni dei tempi".
I preti, ad esempio, debbono risultare liberi di scegliere il celibato (per convinzione e non per obbligo) o il matrimonio (interessante l'invito di San Paolo a Tito e quindi ai vescovi di sposarsi una sola volta e dimostrare di saper gestire la famiglia per risultare credibili nelle esortazioni); gli sposati, probi viri, debbono poter diventare sacerdoti; i risposati debbono poter rientrare a pieno titolo in comunità; le donne debbono esser pari agli uomini anche in simili scelte; i fedeli debbono poter collaborare con maggiore responsabilità; il contatto con le altre chiese cristiane deve diventare fraterno, con le altre religioni deve risultare confronto rispettoso; con i non cristiani, con i non credenti il dialogo deve diventare possibile e necessario.
In sintesi, il Concilio ci porta a renderci autentici seguaci del "sì, sì, no, no" evangelico e smettere di far leva sulla prudenza, sulla diplomazia, sugli atteggiamenti che rischiano di diventare infingardi da parte dei responsabili di livelli altissimi.
Il Cristo che ha dato la vita per liberarci dal male non può tollerare che ci comportiamo da vanificatori di tanto dono e fautori di ritorno nell'abisso della menzogna.
Francesco Maiorano
3392747429- Bari
Franco non risponde più a questo numero. Lo si può incontrare personalmente nel Mondo che Verrà (io lo credo); ha vissuto con grande coerenza e limpidezza, massima frontalità. Non era perfetto e questo gli ha consentito forse quella apertura all'amore per il prossimo che precede le sue coraggiose e sempre pubbliche prese di posizione. Come l'hanno tollerato nella istituzione ecclesiastica io non lo so. Bisognerebbe chiedere al suo vescovo, Mons. Francesco Cacucci. Forse perchè la Chiesa oltre a essere peggio di quanto si rappresenta è, per alcune esperienze e in alcune comunità, anche meglio di quello che crede di essere....Certo ne ha subite di umiliazioni, allontanamenti, ma la sua vita irreprensibile e l'adesione incondizionata alla sua scelta: essere sacerdote, lo hanno protetto. Fino alla fine, che per chi crede: è l'inizio.
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(Padre Franco Maiorano),
/cittadinanze/,
verso dio
martedì 22 settembre 2015
22 agosto, Santa Maddalena
Oggi è il 22 di settembre. Due mesi fa moriva dopo mesi difficili resi pesanti dalla disabilità dalla debolezza dalla enorme pesantezza del corpo anziano e malato, io credo con l'aiuto di Santa Maddalena, Franco Maiorano. E' stato il mio padre spirituale per quasi trent'anni e se sono ancora credente e cattolica a lui lo devo. Mi sono arrivate in forma più o meno estemporanea nelle settimane successive alla sua morte alcune testimonianze; Rosanna, mia sorella, sperava di coinvolgere tanti e farne un testo. Oggi le raccolgo di seguito qui insieme a quella mia. Per dare a quelle voci, a volti spezzoni di voce, una voliera. Riposa in pace e soprattutto continua da lassù a mandarci qualche "sciagurata/o". Qualche "brutta!". Mi manchi. Ora sei nel mio cielo solo scia. Un lunghissimo segno di matita a tagliare a metà il cielo: da quale parte vado?
Ciao. Teresa
sabato 1 agosto 2015
da Giuditta Belfiore
Per anni ho partecipato con lui alla messa feriale nella comunità di san
Giovanni Battista e lo ricordo così: se si riusciva a superare l'approccio rude
col quale iniziava un rapporto..si scopriva un cuore capace di affetto, una
mente vivace, uno spiccato senso dell'humour, una sostanziale attenzione alla
persona e una coerenza di vita che, sommati , fanno avvertire la sua
mancanza...e siccome credo nella comunione dei santi prego per don Franco e mi
aspetto che da ..santo...un bel di intercedera' per noi...ciao don Franco
Non mi meraviglia che don franco ci ha fatto incontrare anche dopo che ci ha lasciati, lui ne combinava di tutte!
Io l’ho conosciuto come professore al fermi, ha insegnato italiano nella mia classe sezione F, tra il 78 e il 79.
Ci diceva sempre che eravamo delinquenti ma ci volevamo bene. Dopo ci siamo persi di vista quando ero all’università.
Molti anni dopo l’ho incontrato alla parrocchia di S.Giovanni e ci siamo ritrovati molte volte, di solito la domenica mattina, gli ho fatto conoscere mia moglie e una volta anche mia suocera; è a questo punto che con nostra grandissima sorpresa abbiamo trovato un altro collegamento con don Franco: aveva dato la
prima comunione a mio cognato ma a Taranto quando io ero a Bari e non avrei mai pensato da ragazzo, di aver niente in comune con Taranto!
Quanto poteva essere probabile una tale coincidenza? Non lo so, direi nulla, ma don Franco aveva questo dono di facilitare i collegamenti tra i suoi amici e in qualche modo esserne anche lui un motore anche involontario.
Ci mancherà, soprattutto il suo modo di scuoterci ma sono sicuro che continuerà nella sua opera.
Fammi sapere al trigesimo o anche dopo se ci sarà qualche cosa in sua memoria e cercheremo di esserci.
Un saluto carissimo da me e da mia moglie,
Nico e Grabiella Giglietto
da Valeria Pellegrini: 22 settembre
Caro Don Franco è
trascorso solo qualche mese dalla
tua morte e il vuoto della tua mancanza è diventato un abisso: ci manchi tanto!
da Rita Ciaccia: 25 ottobre
(Rita grazie! perdona solo il grande ritardo che ho portato nel pubblicarlo. Ciao sorellina...)
Ciao. Teresa
lunedì 17 agosto 2015
da Angela Gramazio
Cara Teresa,
amica preziosa, emergo dal silenzio in cui mi sono
rifugiata dopo la morte di don Franco.
Come probabilmente hai saputo, ero fuori Italia quando
è successo e la lontananza ha acuito il mio dolore e il senso di vuoto e di
smarrimento.
Ci eravamo salutati il giorno prima della mia
partenza, ed era stato un vero saluto: lui ha voluto rimanere da solo con me
nella stanza; non ci siamo detti nulla che sembrasse un addio, ma ciò che è
mancato alle parole è stato detto dai nostri occhi. Non abbiamo mai avuto
bisogno di molte parole, don Franco e io, la nostra intesa è sempre stata molto
essenziale ed è stata intima e profonda in quei pochi minuti che sono
indelebilmente scolpiti nel mio cuore.
Ci eravamo salutati, eravamo entrambi tacitamente
consapevoli che quella era l’ultima volta che ci vedevamo, ma io speravo di
poterlo ritrovare al mio ritorno e potergli raccontare del viaggio, come facevo
sempre.
E’ stato brutto leggere che non c’era più e che non
l’avrei trovato al mio ritorno …
Mi mancano i suoi abbracci ‘stritolanti’, il suo
affetto, la sua capacità di capirmi e di leggermi dentro. Come sempre quando
viene meno una persona a cui vogliamo bene, mi manca la sua ‘fisicità’, il non
poterlo più vedere, sentire.
Manca la fisicità. La sua ‘spiritualità’ è invece più
presente che mai: le sue parole risuonano dentro di me, i suoi sorrisi sono
davanti ai miei occhi, la sua sofferenza degli ultimi mesi mi stringe ancora il
cuore, la sua fede nel ‘buon Dio’ mi dà forza.
Ma la fisicità è altro …
Ti scrivo, perché finalmente, forse, ho cominciato a
elaborare la sua assenza. Ieri pomeriggio, dopo pranzo, riposavo e l’ho
sognato. Me lo sono ritrovato davanti, sorridente e sornione. Stava benissimo:
sbarbato, ben pettinato, giovane, come l’ho visto in una foto che alcuni suoi
alunni hanno messo su Whats App. Io gli ho detto: “Don Franco, sei proprio tu?”
e lui sorridendo “E chi vuoi che sia!?!”. “Come stai bene”, ho replicato,
“proprio bene!”. Lui non ha risposto nulla; ha però annuito, continuando a
sorridere. Poi la visione è svanita.
Mi piace pensare che don Franco sia venuto a
salutarmi, abbia voluto salutarmi e tranquillizzarmi e … stupirmi, come tanto
gli piaceva fare con tutti.
E mi piace condividere questo con te, perché lui ti ha
voluto tanto bene e tu tantissimo a lui e io ne voglio a entrambi (e, se vuoi,
fa’ leggere questo scritto anche a Rosanna: non ho il suo indirizzo mail).
Inoltre, ti mando una breve riflessione scritta da un
mio amico, un ragazzo della parrocchia, il giorno del funerale: forse può
essere utile per il libro che stai preparando (Marco, questo il nome del mio
amico, sa che l’avrei fatto).
“Pur non essendo uno dei discepoli di don Franco,
perché non concedeva a chiunque la sua amicizia, con la sua scorza dura, a
volte respingente, mai ruffiana, ha lasciato in me un segno di grande coerenza.
Non penso ci sia un modello di sacerdote o di
cristiano, ma credo che la forza, l’anticonformismo di don Franco siano
abbastanza vicini a quelli di Gesù, ad esempio quando ha scacciato i venditori
dal tempio.
Ci sia di sostegno e di monito nei nostri momenti di
tiepidezza.”
E un’amica, Claudia, ha commentato: “Vero … In questo
è stato un modello di libertà e limpidezza.”
Abbraccio te e Rosanna con grandissima amicizia e
affetto.
P.S. Ci vediamo un pomeriggio o una sera e stiamo un
po’ insieme noi tre?
sabato 1 agosto 2015
da Giuditta Belfiore
martedì
4 agosto 2015
da Milena
Un vero
esempio di vita.Uomo dai sani principi che nel suo percorso ha segnato un solco
incancellabile di onestà, semplicità e umiltà operando nel nome del Signore con
grande Amore per la vita. Per me, è stato un grande riferimento conosciuto in
tenera età, ha saputo confortarmi e insegnarmi i valori della vita, sostituendo
la figura di mio padre per la sua prematura dipartita.
lunedì 3 agosto 2015
da Ritangela Sciaraffia
Si. Mi ricordo un
sacerdote snello, serio ma gioviale, capelli brizzolati, ricci.
Eravamo un gruppo di
giovani promesse universitarie . Irrequieti come i giovani in genere sanno
essere. Sarà stato il 1974.
In chiesa ci si andava
per ritrovarsi e discutere dei problemi che pensavamo di capire, ma che oggi
posso dire, capivamo poco, perché la vera scuola la fa la vita.
Certo eravamo tutti un
po' ribelli e in contrasto con i troppi schemi che il nostro parroco ci
imponeva.
Tante domande nella testa
... e più non avevano risposte e più cercavamo di esigere una risposta. Finché
un giorno questo strano prete arriva ad accoglierci.
Parola giusta.
Ci spiazzò, perché più
noi lo aggredivamo, più lui sornione, rispondeva a tutto...a tutto.
Domande imbarazzanti, domante
inopportune...tutto.
Ci arrendemmo.
Chi era costui che osava
mettersi alla nostra mercé senza scomporsi? Veniva a turbare la certezza dei nostri dubbi.
I dubbi e la consapevolezza di averne erano allora le uniche certezze che
ritenevamo di avere.
Da quel giorno l'incontro
con questo sacerdote salesiano di nome Franco - che pretendeva gli dessimo del
tu- diventò un'attesa sempre più consapevole.
Lui era dei nostri, ma
non perdeva né concedeva terreno. Era dalla nostra parte senza dimenticarsi
quale fosse la sua parte, ma lasciando spazio ad ognuno di noi.
Purtroppo bene non so,
ma so che da un giorno all'altro non tornò. Fu una delusione. Grande. Ci
confermò che non sbagliavamo. Le regole erano state imposte. Il nostro legame
era ritenuto eccessivo.
Passarono una diecina di
anni, mai più rivisto il don. Da amici comuni seppi che aveva subito un grave
incidente, ma nulla di più...
Mi ero sposata . Avevo
due bambini. Mio marito si ammalò. Cancro. Ero giovane. ero terrorizzata e pensavo debole e incapace.
Una mattina come al
solito, uscii per andare a fare la spesa...con la testa nei miei pensieri. Cattivi pensieri. Oserei
dire con pensieri disperati.
Da lontano vidi una
sagoma familiare ed un passo leggermente claudicante ma inconfondibile.
Non potevo crederci: il
Don ? Che ci faceva li? E poi perché proprio in quel momento ? e poi perché
sotto casa mia…?
Lui non mi riconobbe :
dieci anni e i troppi pensieri avevano fatto di una ragazza un po’ immatura, una donna , una madre pensierosa…
Io lo chiamai: Don
Franco…!!!
Si girò e mi chiese
scrutandomi con occhi indagatori, come può immaginare chi lo ha conosciuto: chi
sei? E io: Rita. Non ti ricordi? Non si ricordava…
Poi gli parlai di uno dei
più arrabbiati e ricordò…
Gli chiesi: che ci fai
qui? E lui di rimando, con fare ironico al suo solito: sciagurata, tu che ci
fai qui?
-Io ci abito.
- Io pure – risposi- da
più di dieci anni.
E lui- io da prima…..
Shock totale…come da
prima? …
-sei sempre stato qui? -
E lui: -i miei si…io
quando vengo a casa …si.-
Mi guardò e mi chiese:
- che succede? -
Gli raccontai di mio
marito…di mio figlio appena operato, e di quanto mi sentissi disperata ed
inadeguata.
Sorrise come sapeva fare lui:
-no. Non puoi essere
inadeguata. Se hai meritato queste prove devi avere in te delle qualità che ti
mettono in condizione di fronteggiarne il peso.-
Con le lacrime agli occhi
gli chiesi di cosa stesse parlando e lui mi ordinò quasi (ricordate la sua
autorevolezza?) di affidarmi al signore. Lui sapeva cosa fosse meglio per me.
Meglio per me. Questa
frase negli anni, ad ogni prova dura e all’apparenza insormontabile, me l’ha
ripetuta. E non mancava mai di lodarmi, quando poteva, con chiunque.
A volte mi imbarazzava.
Io gli dicevo che il suo
affetto per me lo portava a sopravvalutarmi, ma lui sapeva che l’unico modo per
combattere la resa è la capacità di trovare in sé le forze. E lui mi forniva un
po’ di benzina d’emergenza per un percorso che dovevo fare da sola.
Ora sono più sola, come
accade a chi perde un compagno di strada. E io mi sforzo di pensare che è
sempre vicino a me. Ma siamo umani e abbiamo bisogno di riscontri.
Le mie prove non sono
finite e lui sapeva bene che avrei avuto bisogno di carburante extra. Fino
all’ultimo mi ha fatta sentire preziosa come un padre può fare con un figlio.
Ha cercato di fornirmi un
pieno extra che potesse accompagnarmi per un po’.
Mi ha fatto conoscere i
suoi amici, la sua famiglia. Gli sono grata. Mi auguro che la mia sensibilità
si affini ed io riesca a sentirlo ancora vicino.
Di suo ho dei ricordi
materiali come la sua borsa da rasoio che è diventata la mia borsa per il
trucco. Ogni giorno mi accompagna. E
Maddalena, che come diceva lui …”E’ un capolavoro…” perché la vita le ha tolto
parte della memoria, ma le ha regalato la presenza del fratello amato per
sempre.
Franco è con lei, vivo
ogni giorno.
Anche la sua malattia e
il suo congedo hanno portato frutti. Spero lui abbia avuto consapevolezza di
aver portato a termine il suo compito e di aver lasciato qui da noi una pianta
capace di vita propria anche staccata da lui. E non è questo un premio di per sé?
Ovunque sia, spero stia
sorridendo con il suo sorriso sornione e ironico e spero stia raccontando a
qualcuno di noi. So che mi mancherà sempre di più. Spero di mancare un po’ anche
io a lui.
mercoledì 5 agosto 2015 20.28
da Teresa Montaruli
Franco ha segnato tutti i passi importanti della mia
vita e di quella della mia famiglia, dal matrimonio, al battesimo dei miei
piccoli, ai 50 anni di matrimonio dei miei.
Molteplici degli eventi che mi riguardano sono stati segnati da tristi fallimenti, ma lui non ha smesso di credere in me e me lo diceva. Le ultime sue parole mentre se ne andava per me
sono state ‘Stai calma’ in un momento in cui il mondo mi sembrava crollare addosso.
Franco é stato sempre il mio unico legame con la chiesa e mi ha sempre invitata alla mensa del signore anche quando io ero riluttante per via delle false regole della chiesa.
Ha battezzato i miei piccoli e so che questo segnerà per sempre il loro legame col Signore.
Ha rispettato le mie idee e si é offerto come amico e sostegno sempre. Franco era un vero sacerdote, offerto al prossimo e capace di offrire una guida per tutti nei casi più' disparati.
La sua divertente ironia e i suoi termini scrollavano gli animi anche dal suo letto di morte quando ormai aveva deciso di raggiungere la pace.
Da li’ su, continuerà a ricordarsi di noi e noi di lui soprattutto, perché possa essere sempre luce in un mondo spesso offuscato dalle tenebre dell'ipocrisia.
Molteplici degli eventi che mi riguardano sono stati segnati da tristi fallimenti, ma lui non ha smesso di credere in me e me lo diceva. Le ultime sue parole mentre se ne andava per me
sono state ‘Stai calma’ in un momento in cui il mondo mi sembrava crollare addosso.
Franco é stato sempre il mio unico legame con la chiesa e mi ha sempre invitata alla mensa del signore anche quando io ero riluttante per via delle false regole della chiesa.
Ha battezzato i miei piccoli e so che questo segnerà per sempre il loro legame col Signore.
Ha rispettato le mie idee e si é offerto come amico e sostegno sempre. Franco era un vero sacerdote, offerto al prossimo e capace di offrire una guida per tutti nei casi più' disparati.
La sua divertente ironia e i suoi termini scrollavano gli animi anche dal suo letto di morte quando ormai aveva deciso di raggiungere la pace.
Da li’ su, continuerà a ricordarsi di noi e noi di lui soprattutto, perché possa essere sempre luce in un mondo spesso offuscato dalle tenebre dell'ipocrisia.
Da Donato Belviso,
lunedì 27 luglio 2015
Anedoto su Don
franco. essendo ex sacrista di san
Giovanni battista don franco cadde sugli
scalini del presbiterio dovette operarsi per una protesi alla anca venimmo a conoscenza che aveva bisogno di
sangue mi recai subito e donai. quando torno in parrocchia come al
solito iniziò a chiamarmi mascalzone in
piu volavano calci e pugni (lo faceva solo a chi voleva bene) un giorno dopo l'ennesimo pugno gli dissi che dentro di lui scorreva il mio sangue la risposta non si fece attendere Ecco allora chi mi ha contaminato. ciao
franco proteggi la mia famiglia.
Da Mario Brandi
Venerdì 24 luglio.
Cara Teresa,
mi chiedi di scrivere qualcosa.
Si lo farò per lui. Devo a lui molto e scriverò il libro che voleva
scrivere con me.
Ma oggi devo segnalarti una cosa che sono sicuro non è un caso.
Stavo rivolgendomi al lui con preghiera sincera e chiedevo al lui un
segno se avesse conosciuto quel Signore che, come diceva lui: "nessuno
ha mai visto".
Bene, Raffaele aveva appena terminato di leggere i saluti, il commiato,
"il testamento", il ringraziamento di Don Franco a tutti noi, ed io do'
l'avvio agli applausi.
L'Arcivescovo con un gesto delle mani dice di fermarsi e inizia a parlare.
Il microfono che aveva sempre funzionato all'improvviso non funziona
più. L'Arcivescovo è costretto a parlare senza l'ausilio del microfono.
Per me questo è un segno di Don Franco che da oggi è un Angelo di Dio.
Saluti a tutti.
Un bacio forte.
A presto e scusatemi se non sono stato molto presente. Ho avuto dei
problemi che solo Don Franco sapeva, e lui mi comprende, mi ha compreso
e mi aiuterà.
Ancora un bacio a tutti.
Mario.
PS Dimenticavo la cosa più importante. Mi manca già tantissimo. Mi
sembra impossibile che non ci sia più. Era unico. Era il solo che sapeva
dare la giusta "ricarica" al momento giusto anche se talvolta era un
invidiabile testardo. Il testardo più invidiabile che abbia conosciuto.
Si lo farò per lui. Devo a lui molto e scriverò il libro che voleva
scrivere con me.
Ma oggi devo segnalarti una cosa che sono sicuro non è un caso.
Stavo rivolgendomi al lui con preghiera sincera e chiedevo al lui un
segno se avesse conosciuto quel Signore che, come diceva lui: "nessuno
ha mai visto".
Bene, Raffaele aveva appena terminato di leggere i saluti, il commiato,
"il testamento", il ringraziamento di Don Franco a tutti noi, ed io do'
l'avvio agli applausi.
L'Arcivescovo con un gesto delle mani dice di fermarsi e inizia a parlare.
Il microfono che aveva sempre funzionato all'improvviso non funziona
più. L'Arcivescovo è costretto a parlare senza l'ausilio del microfono.
Per me questo è un segno di Don Franco che da oggi è un Angelo di Dio.
Saluti a tutti.
Un bacio forte.
A presto e scusatemi se non sono stato molto presente. Ho avuto dei
problemi che solo Don Franco sapeva, e lui mi comprende, mi ha compreso
e mi aiuterà.
Ancora un bacio a tutti.
Mario.
PS Dimenticavo la cosa più importante. Mi manca già tantissimo. Mi
sembra impossibile che non ci sia più. Era unico. Era il solo che sapeva
dare la giusta "ricarica" al momento giusto anche se talvolta era un
invidiabile testardo. Il testardo più invidiabile che abbia conosciuto.
sabato
25 luglio 2015
da
Nicola Giglietto
Cara Teresa,
mi ha fatto piacere incontrarti e davvero eri mia compagna alle elementari: ho
ritrovato una foto del ’71 in cui siamo con tutta la classe penso di 5^.Non mi meraviglia che don franco ci ha fatto incontrare anche dopo che ci ha lasciati, lui ne combinava di tutte!
Io l’ho conosciuto come professore al fermi, ha insegnato italiano nella mia classe sezione F, tra il 78 e il 79.
Ci diceva sempre che eravamo delinquenti ma ci volevamo bene. Dopo ci siamo persi di vista quando ero all’università.
Molti anni dopo l’ho incontrato alla parrocchia di S.Giovanni e ci siamo ritrovati molte volte, di solito la domenica mattina, gli ho fatto conoscere mia moglie e una volta anche mia suocera; è a questo punto che con nostra grandissima sorpresa abbiamo trovato un altro collegamento con don Franco: aveva dato la
prima comunione a mio cognato ma a Taranto quando io ero a Bari e non avrei mai pensato da ragazzo, di aver niente in comune con Taranto!
Quanto poteva essere probabile una tale coincidenza? Non lo so, direi nulla, ma don Franco aveva questo dono di facilitare i collegamenti tra i suoi amici e in qualche modo esserne anche lui un motore anche involontario.
Ci mancherà, soprattutto il suo modo di scuoterci ma sono sicuro che continuerà nella sua opera.
Fammi sapere al trigesimo o anche dopo se ci sarà qualche cosa in sua memoria e cercheremo di esserci.
Un saluto carissimo da me e da mia moglie,
Nico e Grabiella Giglietto
da me; 21 agosto 2015:
L’ indimenticabile storia che finisce a mazzate
Se sono ancora cattolica lo devo alla mediazione di Franco.
Ha mediato fra me e le incredibili quantità di contraddizioni che vedevo dentro
la Chiesa e in me stessa. Non aveva, rispetto alla Chiesa, la sua Chiesa, un
atteggiamento di incondizionata accettazione; per me sì, invece. Se sbagliavo
lo facevo perché ero una perfetta fessa come mi ha detto tante volte ghignando.
La Chiesa invece è un’istituzione di potere; gli uomini di potere possono
sbagliare. I cattolici forse più degli altri cristiani perché il senso di colpa
in cui veniamo al mondo col battesimo, perché quel sacramento è l’inizio di una
storia tutta imperniata sul peccato e non invece sull’amore umilissimo di Dio
per noi che quel peccato ci toglie da sotto i piedi, ci crea imbarazzi e
doppiezze là dove ci sarebbero solo scelte da fare, posizioni da prendere.
Franco ha scritto ripetutamente sia al papa che al suo vescovo ma anche ai
giornali quando, agganciandosi a qualche episodio di cronaca constatava
apertamente e senza falsi pudori, le tante incoerenze dentro la Chiesa. Il
formalismo è il danno peggiore per l’umanità, ha appuntato una volta su un
foglio di carta che ancora conservo. E la Chiesa in quanto a formalismo, ad
apparenze, non è seconda a nessuno. Ha sposato apertamente l’apertura della
Chiesa ai separati e ai divorziati, ai gay e alle lesbiche: ciò che conta è la
coerenza diceva. Chiunque è coerente esercita giustizia; nella sua vita e nella
vita di chi gli è intorno. E la giustizia per Franco era il valore massimo. Si
conquista la coerenza; si arriva ad essa, è una pratica quotidiana, una
palestra relazionale che nasce dalla capacità di leggerci dentro e di scrivere
la nostra storia nel Libro della Vita. Ha esercitato la sua parola pubblica più
volte, ha preso posizione in tante occasioni per sollecitare la Chiesa ad
accettare il matrimonio dei sacerdoti. Per lui dovevano essere lasciati liberi
di scegliere se formarsi una famiglia propria oppure no. Riteneva che questa
sessuofobia alimentasse soltanto gli infamanti comportamenti morali di alcuni,
ma sempre troppi sacerdoti. Mi riferisco a quelli legati alla pedofilia in
prima e assoluta istanza. Troppi. E’ l’esempio la verità del messaggio che si
testimonia. Un messaggio d’amore significa rispetto al grado zero. Il rispetto,
l’altra grande categoria a cui voleva che io guardassi, meglio: orientassi il
mio vivere. Stamattina ho ricordato con un’amica di Franco quanto spesso ci ha
invitato a pregare “per la conversione dei preti”. A questo pontificato, quello
di Francesco ha dato tutta la sua fiducia. E come dice oggi don Felice, monaco
all’abbazia della Scala , se non riesce a questo papa di cambiare la Chiesa, non
cambia più. Non ce la farà più. Lo penserebbe anche Franco. Mi manca. Tuttavia
andandosene non si è portato via l’amore che aveva per me. Un amore che ho
diviso insieme a tantissimi altri conosciuti soprattutto durante la sua malattia
e la tribolata, dolorosa, fatale convalescenza. Questo non ha tolto nulla
all’amore che ha portato nella mia vita e per la mia vita. Quello è un dono che
nessuno potrà sottrarmi se io sarò capace di alimentarlo in me. In quel dono
c’è la forza di credere alle mie intuizioni e al mio sentire, di non farmi
sottomettere dal senso di inadeguatezza o peggio, dal potere, qualunque potere,
anche quello spirituale. Franco davvero mi ha amato perché mi ha sollecitato a
essere libera. L’ultimo periodo prima del suo ictus è stato assai complicato,
lui sosteneva che io dovessi prendere una posizione più estremista e più rigida
nelle relazioni assai complicate con i miei due figli adottivi. Sono separata da oltre tre anni e
Franco mi è stato vicino come un padre. Non ho voluto conformarmi alla sua
prospettiva, seguire i suoi consigli. L’ho contestato. Franco con fatica ha
rispettato il mio turbamento, la mia confusione, si è fatto indietro. Non ha
mai voluto accettare la mia posizione ma so nel mio cuore che ha cercato di
capire; so che non c’è riuscito. Il mio bene per lui si è compiuto in quel
momento. In quel distacco fisiologico da chi alla fine è riuscito a trasmetterti
fiducia. Ho conosciuto anche nei mesi di malattia i suoi limiti le sue rigidità,
i suoi timori. Mi chiedeva di essere coerente nella vita di essere giusta
perché quella è la via, quella la verità, la vita, e su quella strada con le
nostre incoerenze ingiustizie, andiamo avanti. Nel cammino cerchiamo di
alleggerirci di tutto quello che non ci serve più per essere felici, qui; sulla
Terra. Se un giorno ti diranno che sono morto sappi che è stato contro la mia
volontà. Si sbagliava. Franco ha scelto di andarsene. Io credo che non abbia
retto quel centro di reclusione razzista che è una casa di riposo. Un vero luogo
di deportazione dove si eliminano i vecchi, quelli che non servono più,
combinandoli tutti insieme in un catalogo da incubo: un assortimento di dolori e di deformità. Un catalogo di
solitudini. Anche il più bello, come forse quello dove i suoi parenti insieme
ai confratelli si sono visti costretti a ricoverarlo, e dove lui stesso aveva
scelto di sistemare tre anni fa sua sorella Maddalena, è un luogo tristissimo.
Un parcheggio di carrozzelle. Franco era troppo lucido e troppo amante del fare
dell’azione che ogni giorno rigenera la nostra vita per starsene così; alla
mercè di tutto e di nessuno in fondo. Dio lo ascoltava. Lo ha ascoltato anche
questa volta e ha trovato un passaggio, un varco come diceva lui non troppo stretto,
nel muro del Don Guanella. Ha lasciato la Terra chissà dove sta adesso. Mi
manca il suo corpo fisico e la sua mente brillante e libera. Giocosa,
sprezzante. La sua pazzesca frontalità che in realtà aveva alcune zone d’ombra.
Era un uomo. Prima un uomo e poi un prete. Per questo era così capace di
spiritualità. Uno prima è laico e poi è religioso diceva. Fosse stato il
contrario io non sarei da molti anni più credente. Credo perché Franco mi ha
insegnato, con i suoi abbracci stritolanti come dice Angela, che il corpo è
proprio una bella cosa ed è la più grande risorsa a nostra disposizione per
vivere. Vivere bene pienamente coraggiosamente; affettuosamente. Grazie di
averlo usato per esprimere tutto il tuo affetto. Grazie di averlo usato per
renderti prossimo. Prossimo a chi se ne sta ultimo, nella fila di dietro, in
piedi, perché si pensa indegno del dono dell’amore di Dio per la sua vita
sconclusa. Fino a quando non viene uno che ti “tira le orecchie”, che ti “da
uno schiaffo e giacchè, perché no, un bel pugno”. Povero Dio, come lo stai
malmenando.
da Valeria Montaruli, 18 agosto
In memoria di Franco Maiorano
Quando ho ricevuto la notizia della scomparsa
di Franco, ho provato un profondo senso di vuoto, perché se n’è andato un
grande amico, e un forte riferimento spirituale, che guardava con benevolenza e
senza giudizio ai miei dubbi e ha saputo sempre trovare le risposte giuste.
Franco ha saputo dare a piene mani a tanti
amici e confidenti, che l’hanno circondato sino alla fine, ricambiando l’amore
e la dedizione che lui ha sempre dato, senza risparmiarsi. Lui valorizzava l’essenza
del vivere religioso, che identificava nell’amore per il prossimo. Non si
stancava mai di ripetere che va di pari
passo con l’amore per Dio. “Il resto
sono cretinate” commentava con il suo linguaggio colorito, che lo
contraddistingueva e che non si può dimenticare. “Pregate per la conversione
dei preti!” ripeteva spesso. Ricordo una volta, quando facevo il giudice
minorile, che lo invitai a una manifestazione al Tribunale per i minorenni. Lui
ascoltò in silenzio tutti gli interventi e solo alla fine prese la parola, con
una forza e un’incisività che colpì tutti i presenti, laddove diceva che, al di
là di tutte le belle parole, i ragazzi hanno bisogno dell’esempio e della
coerenza dei comportamenti.
Tutti i grandi mistici hanno insegnato che il
sentire religioso si accompagna alla semplicità, cioè all’essenzialità. Lui
incarnava in pieno questo valore, pur
avendo una straordinaria preparazione teologica. Ricorderò sempre le lunghe
chiacchierate con lui, la domenica mattina in parrocchia o quando veniva a trovarmi per un caffè. Mi mancheranno molto.
Mi ha fatto conoscere pensatori di prim’ordine, come Vito Mancuso, il cardinale
Martini, Kung e l’indiano Pannikar, sacerdote cattolico e grande conoscitore
dei Veda. Franco credeva nel dialogo tra
le religioni e si rammaricava del fatto che sia stato messo da parte lo spirito
riformatore del Concilio Vaticano II. Mi fece anche l’onore di invitarmi a
presentare il suo libro sul tema, che mi
ha offerto una prospettiva nuova sul cattolicesimo.
Il ricordo di Franco è poi legato alla sua
vicinanza alla mia famiglia, come amico e come confidente, che sapeva anche
dare saggi consigli, senza giudizio, su ogni questione. E’ stato sempre
presente, sia come sacerdote che come amico, in tutte le ricorrenze, l’ultima
delle quali, appena qualche mese fa, è stata la celebrazione della messa in
forma privata per i 50 anni di
matrimonio dei miei genitori e, prima ancora, del Battesimo dei miei nipoti.
Non si può poi dimenticare la sua vocazione
filantropica. Lo ricordo, quand’ero ragazza, all’Apri, dove ha aiutato tanti
ragazzi a uscire dal tunnel della droga.
Ricordo la sua dedizione per i bambini bisognosi. Franco ha destinato tutte le
sue risorse all’aiuto dei più deboli.
Io credo che Franco continui a vivere, non
solo nell’Aldilà, ma anche, in senso foscoliano, nel ricordo e nell’affetto di
tante persone, che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo.
Grazie Franco, per quello che mi hai dato,
con semplicità, amicizia e gratuità. Riposa in pace, tra i giusti.
da Valeria Pellegrini: 22 settembre
A
Francesco Maiorano, prete di Bari[1]
“Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha
nell’urna”, con questa citazione dei Sepolcri di Foscolo Franco aprì la bellissima
omelia che pronunciò in occasione del funerale di mio padre. Questa frase, che
lui stesso scelse, si adatta anche a questa circostanza, perché Franco
gioirebbe nel sapere che i suoi amici più cari si uniscono nel ricordarlo a
prova della immensa eredità di affetti che lascia.
Franco per essermi vicino in quel momento drammatico
del saluto a mio padre, uscì temporaneamente dall’ospedale in cui era
ricoverato in seguito ad un intervento a cui si era sottoposto; volle concelebrare
quella messa ancora convalescente tenendosi in piedi con le stampelle. E’ solo
uno dei tanti episodi su Franco che potrei ricordare perché da quando lo ho conosciuto
è stato vicino a me alla mia famiglia in tutti i momenti più tristi e più felici
e continuerà ad esserlo sempre.
Abbiamo tutti amato in lui lo slancio e la
generosità con cui sapeva essere vicino alle persone nelle difficoltà, in
questo riusciva sempre a meravigliare e a superare le attese di ognuno di noi. Abbiamo
amato le sue risposte brevi e illuminanti alle nostre domande, perché sono
risposte valide per tutte le domande fondamentali, anche per quelle che ancora
non ci siamo posti; erano parole che inducevano sempre a guardare in alto e a
guardare oltre il presente. Sapeva infondere nelle persone speranza e fiducia in
sé stesse e negli altri spingendole ad essere migliori. Con il suo modo di
parlare scherzoso e diretto arrivava immediatamente al cuore degli
interlocutori, anche di quelli appena conosciuti, e la conversazione volava in
modo naturale verso temi divini ed eterni. I due comandamenti più grandi,
quelli dell’amore, erano la sua guida e la fonte della sua luminosa forza.
Seguendoli non aveva mai paura di seguire la strada più difficile e di battersi
per quello che riteneva giusto, anche andando controcorrente. Nell’affrontare i
dilemmi etici anteponeva sempre il rispetto dei comandamenti dell’amore alle regole
formali e alle consuetudini umane che troppo spesso si riducono all’immagine
rigida e distorta dei principi che le hanno ispirate. In sintesi Franco era
rivoluzionario per essere assolutamente fedele alla parola del Vangelo.
Le sue eccezionali doti intellettuali erano rese
ancora più amabili dai tratti caratteriali: l’allegria, l’ironia e la
cordialità, ma anche la simpatica immodestia, i modi impazienti, autoritari e
poco convenzionali e la sua mancanza di diplomazia, a questo proposito lui spesso
citava il Vangelo di Matteo “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”.
Ho cercato di ricordare e scrivere alcune delle sue
frasi e citazioni ricorrenti anche se imprigionate nei fogli perdono molta di
quella speciale lucentezza che Franco sapeva donargli pronunciandole. Il suo
sguardo azzurro e sempre giovane, la
voce profonda, i gesti verticali e soprattutto l’espressione entusiasta a
conclusione della frase davano vita ai contenuti. Scelgo una frase di San Giovanni Bosco che
lui ripeteva spesso con fare scherzoso “Leatare et benefacere e lasciare
cantare le passere”. Ovvero donarsi e fare del bene con gioia, andando dritti
per la propria strada. A me questa sembra l’essenza di Franco, ciò che lo rendeva
“il capolavoro” (per usare sue parole) che abbiamo avuto la grande fortuna di incontrare.
Ecco alcune delle sue citazioni preferite durante
il tempo trascorso insieme:
· Mi accerto
di avere ragione e poi tiro dritto pe la mia strada (citazione da un film
western non meglio identificato)
·
Non ci può
essere pace senza giustizia
·
Omnia
probate quod bonum tenete (San Paolo)
·
I figli vi
insegneranno a vivere!
·
Quod
natura non dat, Salamanca non prestat.
· Socrate ha
detto conosci te stesso, gli stoici hanno detto domina te stesso, Gesù ha detto
dona te stesso.
·
Pregate
per la conversione dei preti!
[1] Così si
presentava spesso intervenendo ai convegni a cui
partecipava.
da Mario Di Biase: 1 ottobre
ABBIAMO NOSTALGIA !
Abbiamo nostalgia di te, della tua burbera ma dolcissima accoglienza, dei tuoi consigli spirituali, della tua guida. Sei stato sacerdote per eccellenza, il padre
misericordioso che ogni sera attendeva
il ritorno del figliol prodigo.
“Stola e grembiule” -per evocare un’immagine
cara a don Tonino- con la stola hai servito il Signore, con il grembiule
le tue comunità per lunghi e
fecondi anni, senza stancarti mai.
Dono prezioso che il Signore ha voluto elargire a tutti
coloro che ti hanno conosciuto, esempio di rettitudine morale e di fede
cristallina: per questo non ti dimenticheremo mai - soprattutto - ora che il
vento della crisi soffia su intere
generazioni di padri e di figli, ora che i
poveri sono ancora più poveri, ora che abbiamo smarrito persino il senso del peccato!
Ci manca la sentinella del
mattino a cui chiedere quanto resta
della notte e per questo oltre ad avere nostalgia, abbiamo ancora bisogno di
te, delle tue preghiere, della tua intercessione presso il Signore, affinché ci doni il gusto dell’impegno, l’amore per i
poveri, la speranza in un mondo
migliore.
Dall’alto dei cieli, continua a
volerci bene e a rimanere sempre accanto a noi.
Un caro saluto!
Tra pochi giorni sarà il nostro
anniversario di matrimonio e non posso non pensare a don Maiorano e sentire
forte la sua mancanza perché lui è sempre stato un pilastro della nostra
famiglia!
Il rapporto con lui inizia nei
primi anni ’60, dall'amicizia con mio padre (tanto profonda da diventare fratellanza!)
quando era parroco nella chiesa di San Giovanni Bosco a Taranto e io bimbetta
trascorrevo i miei pomeriggi in chiesa con lui.
Le sue parole di allora e tutte
le altre che mi ha detto negli anni, mi hanno formato e fatto diventare la
donna che sono; il suo essermi vicino in ogni momento forte della mia vita ha
significato innanzitutto certezza di affetto ma soprattutto sostegno,
condivisione e comprensione.
Lui c’era sempre per me, per noi!
Con quel suo modo timido e brusco
di dimostrarci quanto ci voleva bene
Con il suo modo speciale di dare
consigli: “Fai ciò che è giusto!”
Con quella smorfia del suo volto
che accompagnava la parola “Fesserie!” ogni volta che si rendeva problema ciò
che non lo era
Con quella coerenza di pensiero (che ci sollecitava sempre ad usare) unico
strumento per cogliere la Verità
Con la sua essenzialità di vita
che era esempio
Ma lui era, ma quindi è ancora,
sempre presente in me, in noi perché ci ha insegnato a camminare da soli in
Sincerità avendo sempre chiaro un solo esempio, GESU’.
Ci troveremo a pensare “Cosa mi
direbbe ora don Maiorano?” Ma, se lo
abbiamo ascoltato, lo sappiamo già.
E il suo frequente richiamo a Gesù non aveva niente di ipocrita anzi,
era assolutamente calato nella realtà laica della quotidianità. Per questo ha
creato scandalo o almeno stupore (è capitato di vedere lo sguardo titubante di
chi non conosceva la sua autenticità e quindi non comprendeva….) Ma grazie a
questo è stato capace di essere vicino a tanti.
Diverse volte, è stato di aiuto a nostri amici lontani dalla chiesa o
dalla pratica religiosa; questi incontri, a volte anche solo occasionali, sono
risultati importantissimi, se non spesso risolutivi.
Di tanto bene non c’è quasi traccia
perché era anche, assolutamente, discreto.
Quando nel ’83 gli dicemmo che volevamo
sposarci ad ottobre, decise lui la data (29 ottobre) perché allora insegnava
ancora e c’era già la comunità da seguire…e comunque quel giorno il nostro
matrimonio iniziò con un'ora di ritardo: mancava il sacerdote! Poi però fu una
celebrazione speciale e, come spesso succedeva con lui, fuori dagli schemi
convenzionali ma assolutamente centrata sul significato profondo di ciò che era.
Fu puntualissimo invece quando è
venuto a conoscere e poi battezzare le nostre figlie per le quali ha trovato un
posto nel suo grandissimo cuore e che ha seguito con sincero affetto come tutti
quelli a cui teneva. Ora mi spiace solo che non potrà esserci nelle prossime
tappe della loro vita…. ma sicuramente gioirà insieme ai
miei genitori!
(Rita grazie! perdona solo il grande ritardo che ho portato nel pubblicarlo. Ciao sorellina...)
lunedì 21 settembre 2015
L'Alchimista
Non essere cattivo è un film. L'ho visto con mia sorella a Bari al cinema Splendor qualche giorno fa. Il cinema fa parte di quella catena di circuiti d'autore che a livello nazionale sostengono le storie di qualità: quelle che fai più fatica a vedere perchè il loro linguaggio richiede maggiore attenzione da parte tua. E anche una partecipazione con maggiore senso di responsabilità. Non sei cioè solo occhio ma anche orecchio. E dunque lingua: parola.
Il film è intensissimo. Ti fa stare male per tutto il tempo perchè non riesci a starne fuori da quelle vite che sono tutt'altro che la tua; eppure sono la tua. Sono le vite in cui sei immerso tutto il giorno e tutti i giorni. E se non soffoco è solo perchè ho imparato a non pensarci. Non pensarci mai. Un crimine se ci penso! Perchè questa vita e questo mondo è (anche) mio. Oltre che il tuo e il suo. Il disagio la pena stanno pure in un'altra ineludibile constatazione. Che violenza e tenerezza sono tutt'uno. Che cosa? sì; tutt'uno. Che non puoi limitarti alla tenerezza perchè quella senza la violenza non esisterebbe. A meno; a meno di non educarla. E cioè che ti metti e insegni alla violenza le buone maniere. Questo insegnamento non si fa dall'esterno ma dall'interno. Dentro una relazione d'amore. Questa trasmutazione del metallo in oro avviene solo in alcune condizioni. Che ci sia una forte motivazione al cambiamento (l'immensa paura di perdere la propria vita) e al contempo -contemporaneamente- a quella determinazione un eguale e profondo cambiamento nelle proprie condizioni di vita: un lavoro o un amore o tutte e due le cose. Qualcosa o/e qualcuno che spazza via la forma precedente: a cui gli dai il permesso di spazzare via.
Gli attori di questo film, i due protagonisti maschili, sono bravissimi; in particolare quello che interpreta il cattivissimo/tenerissimo; Cesare nel film (credo). Una bestia feroce di attore. Ti fa avvicinare a sè tantissimo. Tanto che poi hai la sensazione di conoscerlo da tempo e ti manca non incontrarlo più. Tuttavia basta uscire di casa. Basta prestare attenzione e Cesare ce l'hai di nuovo davanti a te. Io cosa posso fare per te? Oltre che scrivere alle mie amiche di andare a vedere il film, ma non ti cambia la vita, cosa posso fare? Raccontare che il mondo non è come sembra e siamo educati a vedere; il male da una parte e il bene dall'altra. Ma essi abitano tutti e due allo stesso indirizzo e per conoscerli devi solo avere il coraggio di guardarti allo specchio la mattina.
Il film è intensissimo. Ti fa stare male per tutto il tempo perchè non riesci a starne fuori da quelle vite che sono tutt'altro che la tua; eppure sono la tua. Sono le vite in cui sei immerso tutto il giorno e tutti i giorni. E se non soffoco è solo perchè ho imparato a non pensarci. Non pensarci mai. Un crimine se ci penso! Perchè questa vita e questo mondo è (anche) mio. Oltre che il tuo e il suo. Il disagio la pena stanno pure in un'altra ineludibile constatazione. Che violenza e tenerezza sono tutt'uno. Che cosa? sì; tutt'uno. Che non puoi limitarti alla tenerezza perchè quella senza la violenza non esisterebbe. A meno; a meno di non educarla. E cioè che ti metti e insegni alla violenza le buone maniere. Questo insegnamento non si fa dall'esterno ma dall'interno. Dentro una relazione d'amore. Questa trasmutazione del metallo in oro avviene solo in alcune condizioni. Che ci sia una forte motivazione al cambiamento (l'immensa paura di perdere la propria vita) e al contempo -contemporaneamente- a quella determinazione un eguale e profondo cambiamento nelle proprie condizioni di vita: un lavoro o un amore o tutte e due le cose. Qualcosa o/e qualcuno che spazza via la forma precedente: a cui gli dai il permesso di spazzare via.
Gli attori di questo film, i due protagonisti maschili, sono bravissimi; in particolare quello che interpreta il cattivissimo/tenerissimo; Cesare nel film (credo). Una bestia feroce di attore. Ti fa avvicinare a sè tantissimo. Tanto che poi hai la sensazione di conoscerlo da tempo e ti manca non incontrarlo più. Tuttavia basta uscire di casa. Basta prestare attenzione e Cesare ce l'hai di nuovo davanti a te. Io cosa posso fare per te? Oltre che scrivere alle mie amiche di andare a vedere il film, ma non ti cambia la vita, cosa posso fare? Raccontare che il mondo non è come sembra e siamo educati a vedere; il male da una parte e il bene dall'altra. Ma essi abitano tutti e due allo stesso indirizzo e per conoscerli devi solo avere il coraggio di guardarti allo specchio la mattina.
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/cittadinanze/,
diario; (Claudio Caligari);
mercoledì 10 giugno 2015
Il furto della vita
Era strana quella gazza. Con quella coda spezzata. Cercava di liberarsi di quel peso che certo la ingombrava, provando a volare. Ma volando si rendeva solo conto di non farcela; non riusciva ad alzarsi più di mezzo metro da terra. Fra gli ulivi stamattina. Ho saputo subito guardandola da lontano, ero protetta dalla disperazione di quel vivente dall'abitacolo della macchina, che sarebbe morta. Ho fatto diagnosi subito. Uccisa dai gatti o dalle altre gazze. O dalla volpe. O dalla sete. Così violata la sua vita da chissà quale incidente, non può farcela. E ho subito pensato a quando la vita spezza la nostra. Una malattia un trauma fisico un danno irreparabile causato da tragici legami famigliari. Quando ti arriva un danno a spezzarti il volo. L'abilità, l'unica, il prerequisito alla vita stessa: alla sua leale battaglia quotidiana. A quel punto non hai scampo, a meno che non hai la fortuna di qualcuno che ti raccolga per strada. E ti curi. E ti aiuti a guarire almeno un pò; almeno quel tanto che ti consenta di recuperare alcune abilità. Ma sono situazioni rarissime. Soprattutto quando chi ti cura lo fa per avere qualcosa in cambio. Per costruire legami fondati sul debito e sulla dipendenza; per asservirti in una forma di schiavitù psicologica; per fortificare i suoi muscoli; quelli di chi è capace di aiutare ma indebolendo ulteriormente i tuoi. Perchè anche dall'aiuto bisogna guardarsi le spalle. Anzi, guardare davanti; guardare bene dritto negli occhi di chi te lo sta offrendo. Aiutare è un gesto d'amore. L'amore ha a cuore la libertà e la dignità dell'altro. Aiutare è dei coraggiosi. Ecco perchè è così sacro aiutare. Così divino. Altrimenti meglio le fauci del gatto. Cara gazza so che da qualche parte stai agonizzando. So che stai male. Io sto male con te. A che serve? A essere consapevoli del dolore in cui siamo immersi fino al collo e fino alla coda. Avevo ventotto anni quando la vita ha spezzato la coda anche a me. Anche meno, molto meno; avevo un giorno quando sono nata in una storia famigliare piena di solitudini; piena di rabbia; piena di incompiutezza. E non per cattiveria no; solo per ignoranza. Conosco i gatti i topi la sete l'opportunismo delle altre gazze e tuttavia sono qui a scriverne. Forse sono già morta anch'io e non me ne sono accorta o forse se non muori hai comunque una speranza. Una sola. Attraverso questo deserto te la consegno. Hai scritto con me queste parole per qualcuno che ha la coda spezzata e cerca di liberarsene volando. Accumula solo angoscia. Stai ferma e prega. Io prego con te.
sabato 23 maggio 2015
Autoguarigioni
Sono giovani. E già questo mette i brividi. Una dozzina ieri sera. Un solo giovanotto fra loro. Divertito; sereno, come loro. Tutti diversi i volti le figure; i corpi. Le voci. Eppure qualcosa li univa rendendoli uno. L'esperienza di essere coro. Sono gli Juvenes Cantores. Per puro caso ieri sera li ho ascoltati durante un concerto organizzato dalla Camerata. Un'ora e mezza divisa in due. La prima, Bellezza; la seconda, Felicità. Un lombrico che canta con la testa un pò lontano, ma poco,dal corpo. E' il maestro Luigi. Li segue da quando sono piccoli. E saranno passati almeno dieci anni abbondanti. Da allora crescono insieme uniti dalla passione per i Brividi. Quelli che suscitano a iosa i canti quando sono cantati insieme e insieme in modo prodigioso. Cercando di erigere muri e muri, palazzi spazi chiese piazze, una città intera con una materia così a portata di mano così raggiungibile così intima e così vicina e così generosa, come solo la nostra voce sa essere, anzi, è. Luigi Leo il loro maestro è certo un tipo in gamba se ha messo a disposizioni i suoi talenti i suoi saperi la sua passione per farne materia di contagio tanti anni fa. E' stato felice, illuminato, nel decidere di spendere i suoi talenti piantandoli nella vita di bambine e bambini. Oggi sono giovani adulti. E si vede che in questi anni sono cresciuti insieme. Tutti. Anche il maestro e forse soprattutto lui, insieme con loro. Il loro repertorio ieri sera era diviso in due. La prima parte, antica. Tutto latino. Tutto sacro. Secoli di storia azzerati in un battibaleno. Magie del teatro, anche se ieri li ho ascoltati in una sala di albergo. Dettagli. La seconda parte invece, il mondo e la canzone contemporanea. Wow: che meraviglia! Hanno cantato in inglese spagnolo e anche balbettando; eh sì, hanno cantato una splendida Pink Panter, la pantera rosa: dadandadandadandadandadan. Brividi su brividi. I loro di sicuro, perchè il loro piacere arrivava prima della loro voce, e il mio pure che sennò non starei qui a scrivere stamattina: NON PERDETELI! Stasera so che sono a Melissano, ospiti di non so che associazione musicale e se per caso un giorno dovessero capitare nella vostra città, ANDATECI; fatevi contagiare! Sono malattie omeopatiche; malattie che guariscono da una terribile infermità. L'atrofia dell'anima. Anzi, il suo mutismo.Conseguenza solo secondaria di un danno più lontano nel tempo: la sua sordità. Una offesa solo subita.
Baci sonori.
Teresa
Baci sonori.
Teresa
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verso nord; (Juvenes Cantores); (Luigi Leo);
giovedì 17 maggio 2012
Certe notti sembra un tetto
domani al Castello di Copertino, in provincia di Lecce, alle 11.30 incontro un pubblico che non conosco; studenti, bambini, forse qualche adulto. E' in corso lì in questi giorni una manifestazione giunta a non so quale numero di edizione, si chiama il Veliero Parlante, la organizza una giovane preside che cura una rete di formazione per le scuole, Rete Infanzia Salento, si chiama, la preside invece, Ornella Castellano. Quest'anno la manifestazione è dedicata a una donna, una preside che io ho conosciuto quando ho lavorato a San Donato nell'ultimo indimenticabile Pon che ho messo su, era il 2008, puntellandomi sull'entusiasmo e sull'istintiva animale bravura di Clara Russo, io penso da sempre che lei sia una levatrice, una che fa nascere da chi ha di fronte, i suoi talenti: glieli strappa pure con i denti se lo ritiene necessario; non si preoccupa di far male. Ritiene peggiore il danno di tenere dentro i doni, piuttosto che sgualcirli un pò per farli venire al mondo. La preside di cui parlo, a cui è dedicata questa edizione del Veliero parlante, una donna col sorriso pronto a fiorire, una di quelle persone che mette avanti la fiducia verso gli altri piuttosto che la sfiducia, era e nella memoria che le cose belle sempre innaffia è, Raffaela Carlino.
Sono contenta anche per questo di stare domani lì, a Copertino, al castello, bellissimo per inciso, sì, alle 11 e 30. Per portare il mio sorriso a Raffaela, mi devo far bella domani, Raffaela nel suo cielo mi vedrà e mi rimanderà l'affabilità la disponibilità, la curiosità, con cui mi ha sempre ricevuta. E contenta perchè farò vedere alcuni dei libri scavati nel 1997, mostrerò un bel lavoro di animazione visiva che ho fatto su quei libri che si trova pure sul mio sito ma bisogna cercarlo perchè se ne sta troppo bene nascosto. Troppo.
Racconterò domani di tutte le volte che i libri mi hanno dato riparo, sono stati per me dei tetti sulla testa. Delle case. E delle due volte in cui questo non è successo, nel 1989 e in questi ultimi cinque mesi, e perchè secondo l'analisi che ne ho fatta io. In ultimo mostrerò quatttro libri d'artista, bellissimi, che mi ha fatto vedere la maestra Clara, sono di una sua giovane scolara di nove anni, Sara, e poi il libricino tirato giù da una mamma dal blog che Clara aprì in occasione di quel magico Pon e che poi Clara ha curato, con infinito amore e creatività, e rinnovandosi ogni volta, fa magie per i suoi piccoli, la strega Clara ama chiamarsi potterianamente, dove si cimentano quasi due generazioni di fervide menti, fra cui oggi, Cristian e Monica.
Questa sarà la mia scaletta.
Se volete venire io sarò contenta.
Di raccontare ancora una volta una delle più belle avventure che conosco.
C'era una volta una bambina che all'età di sette ebbe da sua madre come regalo un libro, Il Lampionaio di Cummings. Entrandoci dentro scoprì.........
Sono contenta anche per questo di stare domani lì, a Copertino, al castello, bellissimo per inciso, sì, alle 11 e 30. Per portare il mio sorriso a Raffaela, mi devo far bella domani, Raffaela nel suo cielo mi vedrà e mi rimanderà l'affabilità la disponibilità, la curiosità, con cui mi ha sempre ricevuta. E contenta perchè farò vedere alcuni dei libri scavati nel 1997, mostrerò un bel lavoro di animazione visiva che ho fatto su quei libri che si trova pure sul mio sito ma bisogna cercarlo perchè se ne sta troppo bene nascosto. Troppo.
Racconterò domani di tutte le volte che i libri mi hanno dato riparo, sono stati per me dei tetti sulla testa. Delle case. E delle due volte in cui questo non è successo, nel 1989 e in questi ultimi cinque mesi, e perchè secondo l'analisi che ne ho fatta io. In ultimo mostrerò quatttro libri d'artista, bellissimi, che mi ha fatto vedere la maestra Clara, sono di una sua giovane scolara di nove anni, Sara, e poi il libricino tirato giù da una mamma dal blog che Clara aprì in occasione di quel magico Pon e che poi Clara ha curato, con infinito amore e creatività, e rinnovandosi ogni volta, fa magie per i suoi piccoli, la strega Clara ama chiamarsi potterianamente, dove si cimentano quasi due generazioni di fervide menti, fra cui oggi, Cristian e Monica.
Questa sarà la mia scaletta.
Se volete venire io sarò contenta.
Di raccontare ancora una volta una delle più belle avventure che conosco.
C'era una volta una bambina che all'età di sette ebbe da sua madre come regalo un libro, Il Lampionaio di Cummings. Entrandoci dentro scoprì.........
.............a domani!
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